venerdì 13 settembre 2019

QUANDO IL PROCESSO DI PACE E' LA SCONFITTA


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Che il percorso di pace,il cessate il conflitto,la consegna delle armi nella vicenda basca sia stata in forma unilaterale è un fatto ormai lampante e abbastanza immaginabile,tant'è che questa scelta,che è una prassi comune in tutto il mondo,abbai creato un vuoto nella lotta indipendentista e socialista non solo al confine tra Spagna e Francia ma ovunque sia stato piantato il seme della rivoluzione socialista ed indipendentista negli ultimi decenni.
Dopo il contributo passato sulla situazione in Euskal Herria(madn lottare-e-legittimoamnistia-totale ),
Infoaut prosegue con la seconda parte non più incentrata principalmente sulla sorte de prigionieri politici baschi e si dà una visione più politica e legata al disarmo,al processo di pace ed alla strategia di negoziazione(il-processo-di-pace-e-una-formula ).
Nell'intervista all'ex militante di Eta Jon Iurrebaso Atutxa che parla a titolo personale secondo il suo percorso ideologico e di lotta oltre che della sua esperienza di prigioniero politico,si forniscono spunti e riflessioni su quello che è accaduto nei Paesi Baschi dopo la fine di Eta,partendo proprio dal fatto che il processo di pace è stato l'accettazione della sconfitta della lotta rivoluzionaria basca,cercata e voluta dalla borghesia e dal capitalismo.
La tanto anelata disobbedienza civile che avrebbe dovuto esserci dopo questo cessate le ostilità sempre e solo unilaterale(madn finita-letae-la-repressione? )non si è vista,complice ancora il ricatto e le temute condanne che lo Stato spagnolo e francese hanno sempre in serbo per chi faccia politica sociale in Euskal Herria.
Lunga intervista da leggere per capire meglio la situazione attuale di questa stupenda terra con un'analisi autocritica su quello che si sarebbe dovuto fare,su ciò che si è fatto e che si poteva fare meglio,nonché sulle possibilità di andare avanti ma tra le righe s'intuisce(mio pensiero personale)che senza una lotta armata,senza libertà o morte,senza rivoluzione o morte,ben poco si può ottenere sia nei territori baschi come in Colombia(le cose stanno cambiando)o Irlanda ed in tutti i paesi dove la lotta rivoluzionaria è più sentita...noi in Italia lasciamo perdere per ora.
L'intervento si conclude parlando delle gravi situazioni in cui versano i prigionieri politici(che Atutxa definisce a ragione crudeli)e un accenno sulla situazione in Catalunya.

Il “Processo di Pace” è una formula del capitale. Intervista a Jon Iurrebaso Atutxa.

Pubblichiamo la seconda di due interviste che abbiamo avuto l'occasione di condurre grazie a dei compagni italiani che vivono e militano in Euskal Herria sull'attualità nei Paesi Baschi e della lotta per l'indipendenza e il socialismo. In questa intervista abbiamo posto alcune domande a Jon Iurrebaso Atutxa, ex prigioniero politico basco ed ex militante di E.T.A. sul cosidetto Processo di Pace e sulle sue conseguenze. Per leggere la prima intervista a Sendoa Jurado sul Movimento Per l’Amnistia e Contro la Repressione clicca qui.

1.- Ci spieghi brevemente il tuo percorso di militanza nella sinistra basca?

Il Movimento di Liberazione Nazionale Basco, voglio dire che il mio è lo stesso percorso militante che hanno realizzato molti miei compagni nel Movimento di Liberazione Nazionale Basco. Per quanto mi riguarda, sia dal punto di vista dell’impegno che da quello del numero di anni di militanza, ho militato nell’E.T.A., nell’Organizzazione di Liberazione Nazionale Socialista Rivoluzionaria Basca (Nazio Askapenerako Euskal Erakunde Sozialista Iraultzailea), in Euskadi Ta Askatasuna. Ed è per questo che sono stato arrestato, giudicato e incarcerato tre volte, sia nello stato spagnolo che in quello francese. Per due volte sono stato latitante e sono stato membro anche di altre organizzazioni dell’E.N.A.M., esattamente come molti altri militanti rivoluzionari baschi, come accennato in precedenza.

2.- Come è nato il cosiddetto processo di pace e come è stato percepito dal movimento basco?

È una domanda ampia e complessa per potervici rispondere in quattro righe. Ciò nonostante, proverò a chiarire alcuni punti, sempre secondo il mio punto di vista ed in relazione alla mia esperienza militante, perchè non intendo parlare di questo se non in mio nome. Ne parlerò a livello personale, come militante rivoluzionario, in nome di nessuna organizzazione.

Per prima cosa mi occuperò del “Processo di Pace” (P.d.P.). Per analizzare un po’ questo termine è sufficiente chiarire quello che nasconde al suo interno, in Euskal Herria come in Irlanda, nel Nord Africa, in Salvador, in Guatemala e in qualsiasi angolo del mondo… In questi paesi non è stata utilizzata sistematicamente la stessa formula magica, l’imperialismo ha utilizzato qualche altro travestimento, ma tutti questi processi, secondo me, hanno il medesimo marchio di fabbrica, anche se si sono sviluppati in un tempo, ad una distanza ed in un contesto politico diversi. Insomma, cosa racchiude il Processo di Pace? In poche parole, l’accettazione della sconfitta da parte delle forze rivoluzionarie. Se in un processo di pace una forza rivoluzionaria lascia nelle mani del nemico i mezzi di produzione economici ed integro il sistema oppressivo, se tutto continua a dipendere dal capitale, se si accetta la “Pace”, parola vuota, nuda, lontana dalla lotta di classe, come un fatto astratto…è finita. In primo luogo sono stati vinti ideologicamente, perché hanno consegnato le armi teoriche prima di quelle materiali. Si sono infilati in una sconfitta strategica, a volte senza rendendersene conto. È duro dire questo, ma è la verità. I rivoluzionari di tutto il mondo devono saperlo, soprattutto adesso, perché in Colombia, ancora una volta, si è dimostrato in cosa consistano realmente i “Processi di Pace” promossi dall’imperialismo.

Voglio dire che non è vero che in un determinato momento storico un processo rivoluzionario e liberatore debba in ogni caso (sì o sì) cedere davanti al capitale, prendendo come pretesto la forza rivoluzionaria e le supposte condizioni generali, non capisco in quale situazione catastrofica stiano vivendo. Questa resa può mascherarsi in molti modi:“Visto e considerato che Il tempo delle armi è trascorso, con dei semplici strumenti politici possiamo ottenere quello che con le armi non abbiamo potuto…”, “La lotta armata non è etica”, “Possiamo intraprendere il percorso attraverso le istituzioni”, “Dobbiamo costruire alleanze per nascondere alcune crepe”, “Senza un accordo con la borghesia non ci sarà un avanzamento”. La filosofia del “possibile”, quella che arriva con gli obbiettivi del capitalismo o con quelli dei paesi oppressori. Il possibilismo, quindi. O accantonando l’etica e l’estetica rivoluzionarie, mentre si diffondono a poco a poco i valori ed i concetti filosofici della borghesia…e un lungo eccetera.

In ogni caso, il monopolio della violenza rimane nelle mani del capitale, mentre le nazioni oppresse devono distruggere o consegnare i propri strumenti di difesa al capitale. Che la struttura e la forma di stato (precisamente la forma di stato del capitale) non cambino è cosa dimostrata nelle nazioni citate precedentemente ed in tutti i processi di pace. D’altra parte, è dimostrato che la borghesia, l’oligarchia, i monopoli del capitale internazionale o qualunque sia l’entità/la situazione escono rinforzati dal processo di pace. In poche parole, il “Processo di Pace” è una formula del capitale, una vittoria della maggioranza, per evitare la rivoluzione dei lavoratori del paese. Questi presunti “Processi di pace” putrefatti sono stati strumenti di guerra dell’imperialismo. Senza eccezioni.

Se il capitale non ottiene il suo obiettivo attraverso il “Processo di Pace”, può sempre fare quello che fece con le tigri del Tamil e con la maggior parte della sua popolazione o quello che sta facendo con la Palestina. Per la classe lavoratrice e per il paese oppresso il capitalismo è barbarie. Per il capitale e per la borghesia, invece, la brutalità consiste nell’appropriazione del proprio futuro da parte della classe lavoratrice e degli oppressi. Non è affatto complicato. Non concederanno facilmente i loro privilegi. Si difenderanno con tutte le armi che posseggono. Personalmente credo che dovremmo fare la stessa cosa. E dovremmo avere chiaro che la legge in vigore è la legge del capitale e degli occupanti, che è la legge degli imperialisti. Siamo proprio noi quelli totalmente legittimati a lottare e a difendersi.

Detto questo, perchè siamo arrivati a differenti processi di pace in Euskal Herria? Ci sono diversi processi di questo tipo: quello realizzato in Algeria (chiamato “I colloqui di Algeri”, del 1989), quello che chiamano “Lizarra Garazi” (dal 1998 al 1999) e l’ultimo, quello avvenuto dal 2005 al 2007. Il Processo di Pace giunge dalla Strategia di Negoziazione (S.d.N.). Negli ultimi 60 anni, precisamente da quando naque E.T.A., all’interno del processo di liberazione basco ci sono stati dibattiti e divisioni sia in merito alla posizione politica, sia ideologica che tattica, che in merito alla strategia, come d’altronde è successo anche in altri paesi. Sarebbe un po’ lungo parlare di tutto questo adesso. Tuttavia, almeno, darò la mia opinione in merito alla Strategia di Negoziazione. La S.d.N. e il P.d.P. sono fratello e sorella ed entrambi sono figli del capitale, per così dire, ma non solo del capitale. Perché? Perché la socialdemocrazia, il riformismo, l’opportunismo e diversi settori della borghesia promuovono, aiutano ed applaudono. Migliaia di persone della sinistra nazionalista basca (Ezker Abertzalea) hanno pensato sinceramente che avremmo lottato (inclusa la lotta armata) contro la Francia, contro la Spagna e contro il capitale fino ad ottenere l’indipendenza ed il socialismo. La verità è stata più crudele, e lo è tuttora. C’è stato un tentativo di indebolire e liquidare tutte le lotte rivoluzionarie, e quasi quasi hanno raggiunto il loro obbiettivo, distruggendo il Movimento di Liberazione Nazionale Basco (E.N.A.M.-Euskal Nazio Askapenerako Mugimendua). Ma molti hanno detto “NO” a questo tradimento e a questa resa vergognosa. E continuiamo a lottare per gli obbiettivi di sempre: l’indipendenza, il socialismo, il recupero/la riappropriazione della lingua basca (l’euskara) e la riunificazione nazionale.

La Strategia di Negoziazione non ha mai potuto essere uno strumento tattico in grado di ottenere risultati sufficienti, perché il capitale ed i suoi alleati avevano/hanno completamente sotto controllo lo stesso Processo di Pace. E tanto meno quando la S.d.N. e il P.d.P. si sono trasformati in un obbiettivo. Quindi ebbe fine la posizione rivoluzionaria di E.N.A.M.. Lo stesso E.N.A.M., nella sua totalità, doveva sapere che il capitale ed i suoi alleati avevano inventato la Strategia di Negoziazione, e che il P.d.P. non era altro che un uno slogan velenoso. Alcuni dell’ E.N.A.M. sì lo sapevano, e abbastanza bene tra l’altro. La direzione riformista, opportunista, possibilista e liquidazionista sapeva tutto questo esattamente. Noi, settori rivoluzionarie di E.N.A.M., non avevamo le sufficienti capacità teoriche e strategiche per renderci conto di tutto questo, questo fu il nostro terribile errore. Abbiamo fatto autocritica, approfonditamente, per questo continuiamo a lottare, per correggere con tutta la libertà di azione gli errori fatti nelle tappe precedenti. Abbiamo appreso sbagliando, e adesso sappiamo che dobbiamo studiare approfonditamente la teoria rivoluzionaria, dobbiamo portare avanti la lotta teorico-ideologica senza pietà. Dobbiamo combattere sempre l’egemonia della piccola borghesia, con le unghie e con i denti, per garantire la guida da parte della classe lavoratrice basca durante il processo rivoluzionario di liberazione, precisamente il proletariato basco.

Quindi, come l’ha presa l’E.N.A.M.? Dico che la S.d.N. era in marcia dal 1988, quindi quelli che l’hanno portata avanti sapevano che non avrebbe portato vantaggi al Paese Basco, ma i riformisti dell’Ezker Abertzalea, i socialdemocratici e la piccola borghesia avevano già fatto la loro scelta. Parlando chiaramente e schiettamente, una qualsiasi struttura rivoluzionaria deve sapere che il principale obiettivo del Processo di Pace è la consegna delle armi, perché proprio questo è lo strumento più importante che il capitale, gli stati ed il sistema da esso organizzati non possono accettare. E non stiamo parlando di lotta armata come di un totem, ma come di uno strumento, di una forma di lotta, che deve quindi essere intesa come una strategia rivoluzionaria globale ed integrale al servizio del socialismo e dell’indipendenza.

Come accennato, alcuni avevano scelto da tempo di abbandonare la lotta armata ed i movimenti popolari (e altro) per entrare nel sistema francese e spagnolo. Tutto questo gli altri neanche se lo immaginavano. Credevano sinceramente, innocentemente diremmo ora, che la Strategia di Negoziazione ci avrebbe portati alla vittoria. Dopo aver visto alcune delle cose fatte in questi ultimi anni (o non fatte, a seconda dei casi), tutto questo ci ha fatto pensare che l’E.N.A.M. è finito come doveva finire. Perché? A causa di una terribile mancanza di formazione, perché la lotta politico-militare non aveva stabilito/apportato sufficienti dibattiti, perché i sistemi francese e spagnolo hanno attaccato il Paese Basco culturalmente, economicamente e con la repressione, mentre la borghesia e la piccola borghesia facevano/fanno il loro lavoro. E anche perché, a suo tempo, non abbiamo preparato e armato adeguatamente la resistenza con la teoria rivoluzionaria, come tra l’altro è successo in molti altri paesi. Ovvero, se i nostri obiettivi sono l'indipendenza e il socialismo, perché non creare una struttura comunista rivoluzionaria, a maggior ragione quando crearla non entrava in conflitto con la lotta armata politico-militare?

È ovvio che la lotta che dobbiamo portare avanti deve essere una lotta integrale, che passa obbligatoriamente, inevitabilmente e necessariamente attraverso la costruzione dello Stato Socialista Basco. E ancora una volta si è appurato chiaramente che gli interessi della borghesia basca e quelli della classe lavoratrice basca sono antagonisti, anche se dicono che sono tutti baschi.

3.- Quali erano gli obbiettivi del cambio di strategia e quali, secondo te, le contraddizioni sottovalutate che ne hanno portato al fallimento?

Per quanto riguarda la prima parte della domanda, le ragioni del cambiamento di strategia sono ben note secondo i portavoce dei socialdemocratici (Sortu/EHBildu). Da una parte, dopo gli attentati jihadisti, non si poteva continuare con la lotta armata. D'altra parte il problema era la stessa lotta armata, perché impediva che si estendesse, diffondesse e propagasse il messaggio dell’E.N.A.M. Il popolo basco era maturo... E poiché il nostro nemico si rifiutava di negoziare con l'E.T.A. (le conseguenze del conflitto e non la causa), la Sinistra Nazionalista Riformista Ufficiale avanzò alcuni passi unilateralmente: la consegna delle armi, la consegna della teoria rivoluzionaria, l’accettazione della legge e della legislazione del nemico, e un lungo eccetera. Nel frattempo dicevano che avrebbero intrapreso il cammino della disobbedienza, ma ciò che è successo è evidente. Non si è sviluppata nessuna resistenza civile, da nessuna parte. La Sinistra Nazionalista Riformista Ufficiale ha eliminato tutte le organizzazioni dell’E.N.A.M. (inclusa E.T.A.) e si è integrata nel sistema del nostro nemico. La Sinistra Nazionalista Riformista Ufficiale (Sortu / EHBildu) ha ora accettato una riforma franchista, che a suo tempo aveva negato e respinto, ampliata e sviluppata nel 1978, alla morte di Franco. Fino a che punto? Fino al punto di presentarsi come candidati alle elezioni del capo di governo del Regno di Spagna.

L’Ezker Abertzalea ha sempre affermato che nel ’78 la dittatura, attraverso una riforma simbolica, si trasformò in un sistema parlamentare monarchico borghese (perché è sempre una dittatura della borghesia, ovviamente) e che si ignoravano i diritti nazionali e sociali del Paese Basco. All’oggi EHBildu considera il P.S.O.E.-G.A.L. (Partido Socialista Obrero Español-Grupos Antiterroristas de Liberación) come una forza di sinistra. Le cose sono così, così crude. Se questo fosse poco, ci troviamo di fronte ad una terribile crisi economica e politica. Alcuni la equiparano a quella del ventinove del secolo scorso, quella del 1929, e a gran voce affermano che quest’ultima grande crisi portò alla seconda guerra mondiale, perché il capitale voleva rimettere le cose al loro posto. In questo senso è logico pensare che, in un modo o nell’altro, questa crisi debba passare in Euskal Herria. Ormai non ha più senso fare il figlio smarrito del P.N.V.: “Abbiamo sbagliato, scusate…”. Tutti noi dovremo scegliere. Con chi stiamo? Con la classe lavoratrice?, “Con tutti”?, “Con Euskal Herria”? Quello che diciamo è semplice: non c’è liberazione, se non c’è liberazione integrale. Non ci rimane altro da fare che costruire uno Stato Socialista Basco. E per ottenere l’indipendenza ed il socialismo è indispensabile la rivoluzione. L’unica via. Non c’è altra via.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, se ho capito bene, mi chiedete perché siamo arrivati a questa situazione. In altre parole: l’E.N.A.M. non avrebbe potuto superare le contraddizioni che aveva in sé, per non giungere a questa situazione?

Precedentemente ho dato alcune chiavi di lettura. Sempre secondo la mia opinione. Prima degli anni 80 nell’ E.N.A.M. ci fu la possibilità non solamente di lavorare a favore dell’Indipendenza, ma anche di approfondire il tema del socialismo in ogni ambito del movimento. Questa avrebbe dovuto essere soprattutto una responsabilità di E.T.A.. Perché? Perché era chiaro che, all’interno di E.N.A.M., E.T.A. era la guida politica del processo. Non fu così, il riformismo e la piccola borghesia iniziarono ad acquistare peso politico e ci condussero nel posto dove siamo al giorno d’oggi o dove siamo giunti. È vero che, e bisogna dirlo senza complessi, la sensibilità comunista (le differenti correnti di sinistra, ma in ogni caso rivoluzionarie) non sapeva o non volle creare una struttura comunista. Secondo me ci sono alcune ragioni principali. Una è che viviamo in un centro capitalista del mondo. Abbiamo vissuto periodi di guerra, ma molti baschi hanno accumulato ricchezze di generazione in generazione, e la filosofia che tutto ciò comporta è molto borghese… D’altra parte, di fronte alle contraddizioni emergeva un un sentimento diffuso: “Dobbiamo mandare avanti tutta la baracca”. È un modo di dire. Ossia una massima e un’ideologia dell’interclassismo. “Dobbiamo conquistare la libertà di di tutti”. Tutti insieme, nell’unione nazionale…

Certo, quale liberazione? Nazionale? Sociale? Nel XXI secolo la borghesia di una nazione non ha altra scelta (e nemmeno la vuole) che combattere con alcuni dei suoi nemici di classe. Quindi stringere alleanze con la borghesia è una grande trappola. La classe lavoratrice di una nazione oppressa deve mantenere alti i simboli del socialismo e dell’indipendenza, in piedi e a testa alta. Dovrebbe anche essere detto chiaramente che questi oppressi non prenderanno mai parte a piccole o a grandi guerre imperialiste, al contrario, vi prenderanno parte con la classe lavoratrice mondiale. Non è vero che dobbiamo dare priorità al “nostro mondo”. Cos’è dunque “il mondo degli altri”? In questo nostro pianeta non ci sarà pace finché ci sarà oppressione. Dobbiamo porre fine ad ogni oppressione. Non c'è futuro senza il controllo da parte degli oppressi in tutti gli ambiti e contesti. Se non siamo in grado di prendere, mantenere e sviluppare il potere degli oppressi, siamo perduti. O voi o noi. Non c'è una via di mezzo.

4.- Quanto le soggettività che hanno guidato il processo ne hanno determinato la linea e quanto invece il disarmo rispondeva a una richiesta diffusa nella società basca?

Qui, in questa lotta, ci sono stati e ci sono approcci di classe o di sotto-classe, sia da parte di Francia e Spagna che da parte di Euskal Herria. Lo sviluppo della lotta di classe in Euskal Herria, dopo tutto. Così stanno le cose. L’alta borghesia e soprattutto la filosofia della piccola borghesia sono state presenti permanentemente da quando nacque E.T.A.. Nell’organizzazione (in E.T.A.), soprattutto nei suoi primi 15-20 anni, ci sono stati moltissimi dibattiti in merito alla situazione che soffre il Paese Basco. Euskal Herria è una nazione? Se lo è, quale Euskal Herria vogliamo? Vogliamo una democrazia come quella che ci sta opprimendo? Alla fine sono stati definiti i soggetti e gli obbiettivi. Per lunghi anni l’obbiettivo è stato quello di fare la rivoluzione socialista in Euskal Herria. Il soggetto la classe lavoratrice basca e in generale il lavoratore basco. E per gli anni a venire…quello che abbiamo appena detto. Il Capitale imperante. La borghesia vincitrice. Al momento.

La società basca chiedeva ad E.T.A. di lasciare le armi? Secondo me non è affatto etico porre la questione in questo modo. Abbiamo raccontato la storia in questo modo? E.T.A. ha consegnato il suo armamento e la sua teoria rivoluzionaria perché lo voleva, o meglio perché i militanti dell’epoca decisero di farlo, a causa delle minacce (perché avevano optato per alcuni cambiamenti strategici) o per loro stessa volontà.

In ogni caso, la società basca voleva molte cose, oltre al fatto che non ci fossero alcuni tiri. Non voleva la disoccupazione, voleva una sanità pubblica di qualità, uno stipendio dignitoso, che l’euskara fosse la lingua ufficiale in tutto il Paese Basco, che tutti potessimo avere una condizione abitativa dignitosa…continuo? Posso continuare per molte altre righe. Se conti sullo stato, sul partito politico e sulla chiesa per diffondere massicciamente e mediaticamente un desiderio, (ad esempio questo desiderio della società basca), questo si trasformerà in un mandato imprescindibile in un tempo determinato. Da utilizzare, inoltre, quando vuoi e con l’intensità che desideri.

Chi dice che la società basca rivendicava il disarmo di E.T.A. e la scomparsa delle dinamiche del percorso verso l’indipendenza ed il socialismo? Se la società basca non rivendicava questo, perché coloro che fecero un vero colpo di stato per il cambiamento strategico hanno proclamato la disobbedienza e da allora non hanno fatto nemmeno un passo? È ovvio. Perché gli stati francese e spagnolo erano e sono d’accordo nel non superare i confini invalicabili in Euskal Herria. Oggi quell’E.N.A.M. che era in prima linea contro il capitale europeo e contro l’imperialismo non c’è più. Quello che abbiamo oggi è semplice: sono i sistemi democratici che ci occupano e che considerano di sinistra il partito P.S.O.E.-G.A.L. (Partido Socialista Obrero Español - Grupos Antiterroristas de Liberación). È schizofrenico affermare che saremo liberati da questi stessi sistemi, rispettando la loro legislazione e facendo docilmente e bonariamente parte delle loro strutture che mantengono l’oppressione nazionale e sociale che subiamo. Qui la lotta di classe ha avuto luogo e questa lotta è appena iniziata.

5.- Da lontano si ha l'impressione che il processo di pace coincida con quasi un divorzio tra i due pilastri storici del movimento basco: il socialismo e l'indipendenza. Secondo te è vero? E se si perché?

Francia e Spagna portano avanti ogni tipo di occupazione nei confronti di Euskal Herria, devono essere individuati altri parametri, vale a dire che il nocciolo della questione risiede nell’occupazione e nell’oppressione che portano avanti Spagna e Francia contro la classe lavoratrice basca, e in nient’altro. Da una parte ci sono i socialdemocratici, i burocrati, la piccola e l’alta borghesia baschi, dall’altra i suoi corrispettivi in Francia e in Spagna, ma non sono nemici tra loro, perlomeno non per portare avanti una guerra di classe. A parte questo, sono pochi quelli che in Francia e Spagna sono pronti a guardare con rispetto la rivoluzione basca. Pertanto per far avanzare la rivoluzione basca ci sono la classe lavoratrice basca, il proletariato basco e i settori cittadini. Tutti questi soggetti costituiscono il popolo lavoratore basco. Questo è il panorama.

Continuando sulla stessa linea, EHBildu si è integrato nel sistema che ci opprime e ci occupa. Ha accettato la loro democrazia e le loro costituzioni e non è pronto a superare i limiti posti da questi due stati. Ma allo stesso tempo dicono che una volta raggiunta l’indipendenza di Euskal Herria si libereranno di tutte le altre oppressioni. Una domanda semplice: ma come è possibile farlo dall’interno del sistema dei nostri nemici? La borghesia basca è abile nel muoversi in queste acque putrefatte, e questi socialdemocratici arrivano tardi con questo discorso, perché qui tutti ci conosciamo molto bene. Quello che è successo qui è quello che successe 40 anni fa in Spagna: anche in Euskal Herria si è installata e stabilizzata la riforma con il permesso della Sinistra Nazionalista Ufficiale Riformista (Ezker Abertzale Ofizial Erreformista) e con la sua partecipazione pubblica e attiva. Noi, invece, lo diciamo chiaro: andiamo a fare la rivoluzione e questo passa sia dall’indipendenza nazionale che da quella sociale, e passeremo aldilà di ogni limite invalicabile, sì o sì. Lotteremo senza tregua fino ad ottenere la vittoria completa del popolo lavoratore basco. Non c’è via di mezzo. Come dicevamo sempre nell’E.T.A.: “Libertà o morte! Rivoluzione o morte!”.

6.- Cosa ne pensi del processo in corso in Catalunya e delle sue caratteristiche interclassiste?

Quando il dittatore Francisco Franco decise di ristabilire la monarchia, accettarono la costituzione del 1978. Di conseguenza la Catalogna si inserì completamente nel sistema neofranchista: da una parte la borghesia catalana fece un patto con l’oligarchia spagnola, per poter godere di una più ampia autonomia, e dall’altra parte i partiti riformisti della classe lavoratrice catalana , il P.S.C. socialista e il P.S.C.U. eurocomunista, si tuffarono a capofitto nella “democrazia”. Quelli che rimasero fuori da questo consenso furono ridimensionati. Per molti anni l’indipendentismo fu minoritario.

Questo accordo istituzionale fu rotto nel 2011 dal Partito Popolare, il Partido Popular di José María Asnar e di Mariano Rajoy. Di conseguenza la maggior parte della borghesia catalana ha deciso di giocare la carta della sovranità, vedendo che una larga maggioranza di lavoratori catalani si stava unendo alla lotta per l’indipendenza. La borghesia catalana pensava di poter controllare e indirizzare il movimento indipendentista a seconda dei suoi interessi. Per ottenere un’autonomia più ampia all’interno dello stato Spagnolo, uno status confederale. Ma la Spagna non può accettarlo in nessun modo, poiché le cose si sono intesite in quella partita di Mus, dove alla fine la borghesia catalana ha scommesso tutto in una mossa azzardata: nel referendum per l’autodeterminazione del 1 ottobre del 2017.

Adesso sappiamo che quel giorno la borghesia catalana si è intimorita, da un lato vedendo la determinazione del popolo lavoratore catalano, la passione, il coraggio nella lotta e la sua forza, e dall’altra davanti alla violenta repressione terrorista del Regno di Spagna. Tutto lo stato, guidato dal re Filippo VI, era pronto ad andare fino in fondo senza contare i morti. E con questo erano d’accordo tutti i partiti nazionalisti spagnoli, inclusi il P.S.O.E. e Podemos.

Quindi la borghesia catalana ha fatto retromarcia, ed è rimasta senza una strategia indipendentista. Poiché, alla fine, la supposta sinistra indipendentista, ovvero la C.U.P., non è stata altro che un satellite della borghesia catalana.

Di conseguenza, al momento, il processo di liberazione nazionale e sociale della Catalogna è bloccato, ma io non ho dubbi sul fatto che presto o tardi il popolo lavoratore catalano troverà la sua strada, quella dell’indipendenza e del socialismo, rivendicando e costruendo la Repubblica Socialista Catalana. Questo si svilupperà cambiando dall’interno la stessa C.U.P. ed il resto della sinistra indipendentista o creando una nuova forza rivoluzionaria? La pratica risponderà a questa domanda.

Noi, tutto sommato, abbiamo espresso una totale solidarietà al popolo lavoratore catalano, e guardiamo con ammirazione il grande ed ampio movimento di massa che hanno creato. Gli diciamo una sola cosa: considerando che è finito il tempo del lideraggio borghese per ottenere l’indipendenza, la borghesia catalana non lotterà per l’indipendenza e ancora meno per il socialismo, perché va contro gli interessi della sua classe. Solo la classe lavoratrice può portare la nazione catalana all’indipendenza, realizzando la rivoluzione socialista.

7.- Ci spieghi quali sono attualmente le condizioni dei prigionieri politici baschi?

La situazione dei prigionieri politici baschi è molto crudele. Quell’avanguardia politica che ha lavorato negli ultimi 60 anni ha lasciato proprio lì i suoi militanti, in carcere (sostenendo che il governo spagnolo non voleva negoziare con loro), e la repressione che subiscono insieme ad altri prigionieri politici baschi è come quella del passato o ancora più violenta. La E.A.O.E. Ezker Abertzale Ofiziala Erreformista (ricordiamo che sono integrati in EHBildu) ha ordinato loro di accettare la legge politico penitenziaria del nemico, ed un certo numero di prigionieri politici sta lavorando in questo. Sappiamo che alcuni non hanno imboccato questa strada e sappiamo che sono capaci di mantenere saldi la dignità politica e personale, la solidarietà umana e politica ed i loro obbiettivi politici. Sappiamo anche che 6 prigionieri politici baschi non sono già più nell’E.P.P.K. (Euskal Preso Politikoen Kolektiboa), perché non sono d’accordo con la linea politica scelta dall’E.P.P.K., quello che è l’E.P.P.K. storico , dalla stessa E.T.A. ed in generale dalla socialdemocrazia basca.

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