Diciassette anni di ingiustizie sull'omicidio di Carlo Giuliani,una data quella del 20 luglio 2001 che pur allontanandosi nel tempo riesce a fare rivivere ancora ricordi contrastanti,rabbia e dolore,amore e commozione e odio e tenerezza.
Tutto il mondo si fermò per quel G8 genovese e tutti gli occhi puntati sulle manifestazioni dei non global che sempre di più col senno del poi hanno dimostrato di avere avuto ragione per le loro proteste.
Nell'articolo di Left(perche-17-anni-dopo-la-morte di Carlo )a firma del papà Giuliano,non ci sono parole d'odio ma piuttosto ancora di rabbia,giustificata sia per la fine del figlio che per le violenze e le torture di quei giorni e per tutto quello che è accaduto nelle varie inchieste e nei vari processi,che nessuno ha visto però giudicare la morte di Carlo,insabbiata e depistata da perizie vergognose.
Tutti sappiamo come sono andati i fatti,e la sete di giustizia,non di vendetta,della famiglia Giuliani è anche la nostra sete(noi un poco più di vendetta a dire la verità ce l'auguriamo),e quel tragico luglio(madn i-morti-siete-voi )dimostra ancora una volta che la lotta non si ferma e non lo farà fino a quando gli ideali di libertà saranno nei nostri cuori.
Nell'articolo successivo(contropiano.org )una breve spiegazione ancora sulle ragioni dei cortei contro la globalizzazione nemica dell'umanità e dei suoi diritti,oltre che della natura e dell'economia e di una società equa.
Perché 17 anni dopo la morte di Carlo è giusto pretendere la verità.
di Giuliano Giuliani
Diciassette anni. Non si attenuano l’indignazione, la rabbia, la voglia di verità. È giusto indignarsi. Perché quando chi occupa un ruolo importante in una istituzione dello Stato si comporta e decide in maniera contraria alle regole e spesso anche alla decenza, quel comportamento non soltanto lede chi è oggetto di quelle decisioni ma offende e mina la credibilità della stessa istituzione. E contribuisce così al disfacimento della società.
È giusto arrabbiarsi. Perché sempre più spesso non solo quei comportamenti vengono giubilati, imitati, mai redarguiti, ma addirittura sono all’origine di nuove e in molti casi incomprensibili promozioni. È giusto pretendere verità. Perché solo attraverso di essa può ricostruirsi un vivere sociale rispettoso delle diversità. La triste e tragica vicenda del G8 di Genova 2001 e l’omicidio di Carlo sono pietre miliari e il principale sostegno di queste argomentazioni. Il comportamento violento e in qualche caso persino criminale di reparti dei carabinieri (il duro giudizio è sorretto da quanto ha scritto la Corte di Cassazione genovese: «cariche violente, indiscriminate e ingiustificate») è all’origine dei drammatici eventi di venerdì 20 luglio, che saranno la premessa di un comportamento altrettanto irresponsabile e criminoso di reparti della polizia, culminati con la “macelleria messicana” alla Diaz e le torture nella caserma di Bolzaneto. Ma se appartenenti alla polizia, dei gradi più alti, sono stati processati e condannati (anche se poi, alcuni, promossi!), nei confronti dei carabinieri non è stato aperto nessun procedimento: la quarta forza armata dello Stato, anche quando è impegnata (cioè sempre ormai) in azioni di ordine pubblico (cioè quasi sempre di repressione) è intoccabile a prescindere. Ed è questa condizione che rende difficile quel piano di riconciliazione invocato dal capo della polizia Gabrielli e che pure avrebbe una sua ragione.
A Carlo non viene concesso neppure un processo. Magistrati inadeguati archiviano in fretta il procedimento, basandosi sull’imbroglio di quattro periti che inventano, a dispetto delle evidenze filmiche e fotografiche, lo sparo per aria e la sfortunata deviazione verso il basso del proiettile da parte di un calcinaccio che vola verso la jeep. Lo sparo per aria accresce la validità della legittima difesa, mentre nessuno ha voluto tener conto che la pistola è già armata e puntata e che Carlo, a oltre quattro metri dalla jeep, raccoglie quell’estintore (lanciato pochi attimi prima da un altro manifestante) soltanto tre secondi prima della sparo! È il 2003, l’obiettivo è togliere di mezzo il fatto più grave di quelle giornate, per poter continuare a parlare per anni di «manifestanti violenti» e di «perquisizione legittima» (dopo le indecenti sentenze di primo grado nei processi Diaz e a venticinque manifestanti, la Cassazione ristabilirà un po’ di verità nel 2012). L’oscena amministrazione della giustizia nei confronti di Carlo non finisce qui. Abbiamo tentato, per avere almeno la dignità di un processo, di affrontare una causa civile. E una delle questioni che abbiamo sollevato è l’atrocità del gesto compiuto da un carabiniere che spacca la fronte di Carlo con una sassata mentre è agonizzante, allo scopo di poter mettere in atto quello squallido tentativo di depistaggio (il vice questore Lauro che accusa un manifestante di aver ucciso Carlo con un sasso!). Fotografie e filmati non propongono equivoci sulla efferatezza del gesto, ma una indecorosa giudice civile ha dedicato al fatto due sole parole: pura congettura. Il 20 luglio non smetteremo di chiedere verità, e lo faremo per la diciassettesima volta in piazza Alimonda, pardon, in piazza Carlo Giuliani, come canta Alessio Lega!
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Eravamo no global, avevamo completamente ragione e Carlo fu ucciso per questo.
di Giorgio Cremaschi (Potere al Popolo)
A Genova nel luglio del 2001 ci fu il vertice del G8, allora c’era anche Putin nel gruppo, e decine e decine di migliaia di persone, in gran parte giovani, vennero nella città per far sentire la propria voce di dissenso.
Ci chiamavano NOGLOBAL perché avevamo capito che la globalizzazione era nemica dei diritti e della democrazia, della natura e della stessa umanità. Avevamo capito tutto, per questo fecero di tutto per distruggerci.
Avevamo ragione, ma il potere, allora governava Berlusconi ma col centrosinistra fu uguale, non solo non lo volle riconoscere ma cancellò con la forza più spietata le nostre ragioni. La violenza della polizia, le torture verso gli arrestati, il massacro della scuola Diaz e l’assassinio di Carlo Giuliani, il 20 luglio 2001.
Il sangue di Carlo e delle centinaia di feriti fu il prezzo pagato per avere ragione. La nostra sconfitta di allora invece la paga oggi tutta la società, con la sua ingiustizia, la sua incapacità anche solo di pensare un futuro degno e giusto, la sua regressione verso la barbarie.
Carlo aveva ragione, il mondo giusto per cui lottava è oggi più che mai la sola alternativa umana alla ferocia che dilaga. Per questo Carlo vive, perché le ragioni per cui è stato ucciso a venti anni alla fine si devono affermare, alla fine si affermeranno.
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