martedì 4 luglio 2017
IMPORTANTE ACCORDO ECONOMICO TRA LA FRANCIA E L'IRAN
Lungi da me difendere gli interessi economici di una multinazionale,soprattutto quelle energetiche che sfruttano persone e territori,ma la notizia dell'importante investimento della francese Total in Iran è molto più che una notizia finanziaria.
Con questo passo si disobbedisce ai diktat statunitensi trumpiani che prevedono l'embargo verso lo stato asiatico,ma anche i recenti divieti e minacce(madn qatarun-capro-espiatorio )contro il Qatar che condivide i pozzi petroliferi in questione proprio con l'Iran.
L'articolo di Contropiano(laccordo-total-iran-rompe-lisolamento )che riprende Il sole 24 ore analizza questo accordo che per ora potrà utilizzare i prodotti del giacimento solo per usi interni,ma che è un passo decisivo contro le politiche protezioniste Usa e contro le sanzioni che potrebbero colpire eventualmente anche Stati europei che intraprendono relazioni commerciali con le nazioni islamiche messe al bando dal Muslim Ban.
Altro fatto non di poca importanza la richiesta francese di prestiti milionari a banche cinesi che hanno quindi il loro interesse,assieme alla Russia,a far tornare l'Iran un paese importantissimo nello scacchiere geopolitico mediorientale ed asiatico,visto che è visto dagli Stati Uniti peggio del Califfato islamico messo alle corde negli ultimi mesi.
La Total rompe l’isolamento di Teheran. Il “coraggio” delle multinazionali europee.
di Alberto Negri*
La Francia e l’Iran rompono l’isolamento internazionale sui grandi contratti con l’Occidente. L’accordo da 4,8 miliardi di dollari firmato dalla Total con l’Iran per sfruttare insieme ai cinesi della Cnpc il mega-giacimento di gas a South Pars è la prima vera grande sfida alle sanzioni finanziarie confermate da Donald Trump alla repubblica islamica. Segna anche il ritorno di una grande compagnia occidentale in Iran dopo l’accordo sul nucleare del 2015 e l’annullamento delle sanzioni sugli investimenti in Iran nel settore energetico.
Finora gli accordi con Teheran erano stati frenati dal timore che gli americani potessero punire le aziende e le banche occidentali con sanzioni di tipo finanziario e creditizio: questo è il senso profondo di un’intesa economica che costituisce anche un messaggio politico della Francia di Macron. Si tratta ovviamente di un segnale incoraggiante per l’Italia, che in Iran ha 25 miliardi di dollari di contratti pronti a partire e che sono congelati dai timori di sanzioni americane.
L’intesa per South Pars prevede la costituzione di un consorzio dove la Total avrà una quota di maggioranza del 50% mentre il 30% va alla compagnia cinese Cnpc e un quota del 20% all’iraniana Petropars. La Total in concreto effettuerà un investimento da un miliardo di dollari, consistente ma non eccezionale visto che, per fare un esempio nel campo occidentale, in passato l’Eni aveva già attuato in Iran investimenti di questa taglia. Si tratta però di una mossa assai importante che tra l’altro riguarda i pozzi offshore di South Pars, cioè quei giacimenti che l’Iran condivide con il Qatar, entrato nel mirino dei sauditi e delle altre monarchie del Golfo.
Da sottolineare una coincidenza interessante: nella sua recente visita a Roma il ministro degli Esteri del Qatar Mohammed al Thani ha ribadito il rifiuto di Doha delle 13 richieste poste da Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrain per porre fine all’embargo introdotto a seguito delle accuse di sostegno al terrorismo e di “complicità” con l’Iran. Tra le condizioni vi sono la chiusura della tv al-Jazeera, accusata dall’Egitto di diffondere la dottrina dei Fratelli Musulmani, la fine dei rapporti con l’Iran, con il quale il Qatar condivide proprio lo sfruttamento di South Pars, la chiusura della base turca di Doha e “riparazioni” in denaro da versare ai sauditi e agli altri paesi del blocco.
Certo, i vertici della Total si sono affrettati a sottolineare che l’intesa con l’Iran è stata fatta nel pieno rispetto delle regole internazionali e che il gas estratto andrà ad alimentare il mercato interno, ma è evidente che i francesi hanno colto un’opportunità sfruttando i finanziamenti delle banche cinesi in alternativa a quelle occidentali.
Questo è il punto nevralgico degli affari con Teheran, che è stato sottolineato anche in un colloquio avuto in questi giorni a Roma con il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif: le grandi banche europee temono di essere sanzionate dalle autorità americane. Ma a non rispettare gli accordi sul nucleare sono gli Stati Uniti, non gli europei e per un motivo evidente: con il viaggio di Trump in Arabia Saudita e in Israele l’amministrazione Trump ha abbracciato la visione saudita secondo la quale il vero nemico della guerra in Siria e Iraq non è tanto il Califfato, ormai in rotta, ma la repubblica islamica che ha esteso la sua influenza in Medio Oriente mantenendo in sella con l’intervento decisivo della Russia il regime di Assad.
Per questo l’accordo della Total verrà adesso attentamente monitorato. La società francese fu la prima già negli anni ’90 a sfidare le sanzioni volute contro Teheran dall’amministrazione Clinton, seguita poi dall’Eni. E sarà interessante vedere le prossime mosse del presidente francese Macron: dopo gli attentati di Teheran dell’Isis ha avuto un colloquio telefonico con il presidente iraniano Rohani per convocare un vertice internazionale sul terrorismo. La Germania ha 11 miliardi di dollari di contratti in sospeso con l’Iran, l’Italia 25: con la Total si è mossa la Francia, vedremo cosa faranno gli altri partner europei. Ci lamentiamo spesso che gli europei non sono protagonisti delle crisi in Medio Oriente o che seguono acriticamente le mosse degli americani: ma per diventare davvero grandi servono coraggio e determinazione.
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