Parigi dapprima ed ora la Francia intera danno lezioni di lotta a noi italiani bagnandoci il naso come si suol dire,i cugini d'oltralpe irridono il movimento sindacale nostrano e pure i manifestanti che sono lavoratori,studenti e pensionati come noi,che stanno scioperando e facendo cortei dall'inizio di marzo e non hanno ancora smesso per far sì che la legge nazionale sul lavoro,la Loi Travail,non possa passare.
Quella che è la versione transalpina del job act,passato a spron battuto senza trovare molta opposizione in noi lavoratori,studenti e pensionati italiani,come qui favorisce il padrone in maniera evidente con nuovi regolamenti e in maniera subdola toglie diritti conquistati in anni di lotta sindacale.
Le modifiche al Code du travail francese in sintesi sono una maggiore potere per l'impresa nei contratti,frammentazione del turno giornaliero con orari assurdi,favorire ad con una minore retribuzione il lavoro straordinario,congedo per il decesso dei familiari annullato e altre vergognose richieste che in Italia sono già legge col bene placito dei sindacati che hanno firmato gli accordi.
Articolo di Infoaut con un altro che spiega questi cambi:http://www.infoaut.org/index.php/blog/notes/item/16845-brevi-considerazioni-attorno-al-marzo-francese e http://www.infoaut.org/index.php/blog/prima-pagina/item/16683-francia-9-marzo-nascita-di-un-movimento-? .
Brevi considerazioni attorno al marzo francese.
Articolo di Davide Gallo Lassere su
genealogia, contenuti e composizione delle lotte contro la Loi
Travail
Ciò che ha maggiormente colpito di questo marzo,
è la rapidità con la quale la mobilitazione ha preso piede e l’estensione che ha
saputo raggiungere. A un mese dalle prime assemblee generali nelle facoltà e dai
primi blocchi sistematici della didattica nelle medie superiori, il movimento è
presente su tutto il territorio dell’esagono e pare ormai destinato a riprodursi
nelle settimane a venire. Dopo le 500.000 persone di mercoledì 9 marzo e dopo le
diverse centinaia di migliaia di persone che sono scese in piazza giovedì 17 e
giovedì 24, lo sciopero generale di giovedì 31 ha portato nelle strade di tutte
le principali città francesi oltre un milione di manifestanti, decisi ad opporsi
al progetto di riforma del mondo del lavoro che va sotto il nome di Loi
El Khomri. Se la giornata del 31, molto partecipata e vivace nonostante
la pioggia battente, ha catalizzato la fase espansiva delle ultime quattro
settimane, durante tutto il weekend si sono svolte delle occupazioni simboliche
di piazze – a Parigi e in molte altre città –, mentre per martedì 5 e sabato 9
aprile sono state indette altre due giornate di sciopero e di azione.
Come noto, al centro della mobilitazione il
ritiro incondizionato della legge-lavoro. Malgrado gli emendamenti già
apportati al testo dopo i sommovimenti di inizio marzo, e malgrado le divergenze
malcelate nelle alte sfere del Ps tra chi appoggia il primo ministro Valls e chi
mostra sempre maggiori insofferenze nei confronti della linea dura,
l’indisponibilità al dialogo e alla concertazione costituisce il marchio di
fabbrica della protesta. Ad esclusione dell’Unef (il sindacato nazionale
studentesco vicino al Ps), che sarà ricevuta nei giorni a venire dal governo ma
che risulta largamente marginalizzata nelle assemblee universitarie, e ad
esclusione della Cfdt (il sindacato giallo che è immediatamente ritornato sui
propri passi, dopo le prime modifiche del disegno di legge), studenti medi e
universitari, precari, disoccupati e salariati, così come sans-papiers,
ecologisti, militanti per il diritto all’abitare e vari altri gruppi, collettivi
e associazioni non hanno alcun dubbio sul senso delle agitazioni: leur faire
peur, far loro paura! Se, infatti, il ritiro della legge El Khomri ha
senz’altro rappresentato l’occasione d’un incontro a lungo mancato, nelle
assemblee generali, ai picchetti, davanti ai blocchi delle scuole superiori o
nelle manifestazioni è estremamente diffusa la consapevolezza che per ottenere
il miglioramento delle proprie condizioni di vita quotidiane e lavorative non ci
si possa accontentare di difendere i diritti conquistati mezzo secolo fa e
sottoposti a erosione da diversi decenni. Lo si è sentito ripetere più volte
nelle settimane scorse – quasi a conforto di un vissuto condiviso e della
volontà di provare a fare qualcosa assieme, di investirsi personalmente e
collettivamente per trasformare lo stato di cose presente: la proposta della
legge-lavoro non è che la goccia che ha fatto traboccare il vaso; la sua
cancellazione dall’agenda politica non è che l’obiettivo minimo e a breve
raggio, che non deve però esaurire la spinta di un movimento che ormai si è
innescato…
L’effervescenza di questo primo mese non nasce
magicamente dal nulla, ma affonda le proprie radici in diversi episodi
significativi che hanno avuto luogo nel periodo antecedente l’inizio delle
mobilitazioni. A tal proposito, si possono annoverare perlomeno due fenomeni.
Innanzitutto, la lunga serie di vertenze sindacali che ha recentemente
costellato il panorama delle lotte francesi, da Good Year a
Renault, passando per Continental e molte altre. Estremamente
mediatizzato il braccio di ferro autunnale sui tremila licenziamenti annunciati
da Air France, culminato con lo scempio della camicetta e la fuga
successiva del direttore delle risorse umane di fronte all’arrabbiatura di
lavoratori e sindacalisti che pretendevano un confronto. Ugualmente emblematico
il caso di una coppia di operai di un’azienda della filiera di Louis
Vuitton da cui il regista François Ruffin ha tratto il documentario
Merci patron!, la quale, dopo aver vissuto con 400 euro al mese per
oltre quattro anni a causa di una delocalizzazione, si è vista sottoporre ad
esproprio la casa, per rivendicare poi un lauto indennizzo a spese della
multinazionale; così come il documentario Comme des lions, di Françoise
Davisse, sulla chiusura dell’impianto Peugeot di Aulnay-sous-bois,
tutto incentrato sulla violenza padronale e sull’opposizione ostinata e
coraggiosa dei salariati. Tre episodi di riscatto, ciascuno paradigmatico a modo
suo, che iniettano un profondo desiderio di rivincita e allontanano ogni
sentimento d’impotenza.
Un secondo elemento da menzionare è la nascita
del collettivo on vaut
mieux que ça, che si auto-definisce come una piattaforma multimediale
critica e popolare il cui scopo è scatenare la presa di parola. Sul sito vengono
caricati racconti di vita ed esperienze quotidiane di maltrattamenti e soprusi
sul luogo di lavoro, richieste extra-contrattuali, orari eccessivi, vessazioni,
paghe irrisorie, discriminazioni razziste e sessiste, “senza gerarchizzare
questi vissuti che sono essi stessi le conseguenze di logiche sistemiche”[1].
Ciò che balza agli occhi è la prossimità con decine e decine di storie
sostanzialmente analoghe a quelle affrontate da molti giovani e lavoratori in
Italia. Se il mercato del lavoro francese pare infatti per certi versi meno
frammentato di quello di tanti altri paesi europei, e se il sistema di tutele e
protezioni sociali regge ancora di fronte agli assalti delle ristrutturazioni
neoliberali, le narrazioni in prima persona di migliaia di esperienze ricordano
le tristi vicende che molti di noi hanno vissuto sulla propria pelle. I video
caricati e visualizzati centinaia di migliaia di volte hanno anch’essi
contribuito a creare e a diffondere un’affettività comune e a veicolare una
volontà di azione.
Non è dunque un caso se, una volta lanciata
venerdì 19 febbraio, la petizione online di ritiro della legge El Khomri è stata
sottoscritta in tempi record da quasi 1,5 milioni di firmatari.
Tuttavia, il vero slancio di questa prima fase
ascendente proviene dal mondo studentesco e in particolare dagli studenti medi,
i quali si sono finora distinti in positivo per iniziativa, determinazione e
capacità organizzativa. Per quanto riguarda questi ultimi, basterà accennare al
fatto che durante tutto il mese di marzo decine di istituti – prima in centro a
Parigi, poi anche nel resto della Francia e nei quartieri popolari della
capitale – sono stati regolarmente bloccati e che giovedì 31 marzo undici
Presidi hanno deciso di chiudere preventivamente i battenti dei propri edifici
onde evitare “disagi” di varia natura (cosa che non era accaduta nemmeno in
occasione delle dure proteste del 2006 contro il CPE, Contrat première
embauche). Quanto alle Università, sono ormai circa una sessantina ad
essere in fermento. Sotto l’impulso iniziale di Paris VIII e, in seconda
battuta, della Sorbona, le università sono diventate il teatro di costanti
assemblee generali e interluttes animate in molti casi da oltre 500
persone. È soprattutto in questi momenti di scambio e discussione che è emerso
con chiarezza il carattere radicale e globale della mobilitazione, in cui la
critica della rappresentanza politica e sindacale primeggia su qualsiasi altra
istanza. Poco importa, dunque, che al potere vi sia un governo che di socialista
mantiene soltanto il nome: nei confronti dell’esecutivo non vi sono
rivendicazioni esplicite da rivolgere, ma la semplice volontà di sbarazzarsi il
più presto possibile del suo lascito antisociale.
Ecco allora che, con assiduità, da oltre quattro
settimane in Francia si scende in piazza, ognuno con le proprie forme e tecniche
di manifestazione del dissenso – le quali hanno creato, come sempre accade,
delle reazioni di dubbio valore da parte dei servizi d’ordine dei sindacati[2].
Nella tarda mattinata, dopo il blocco degli istituti con cassonetti e altri
materiali, sono gli studenti medi ad aprire le danze, portando lo scompiglio in
città a partire da place de la Nation[3].
Nel pomeriggio, poi, lavoratori e studenti universitari infoltiscono le file,
trovandosi sistematicamente costretti a fronteggiare la brutalità gratuita delle
violenze poliziesche[4].
Sulla scorta di questa escalation, la tematizzazione dello stato d’emergenza è
stata così progressivamente posta sotto i riflettori e dibattuta criticamente
durante le assemblee generali. Decretato immediatamente dopo gli attentati del
13 di novembre e rivelatosi di grande utilità nel contrastare le proteste contro
Coop21[5],
a fine gennaio lo stato d’emergenza non era percepito negativamente da circa
l’80% dei francesi. Come spiegato da Didier Fassin, esso rappresenta infatti un
dispositivo che impatta fondamentalmente 1. sulle condizioni di vita dei
soggetti razzializzati che vivono in prevalenza nelle banlieue e nei quartieri
popolari e 2. sulle condizioni stesse di possibilità del fare politica[6].
Se già a fine febbraio vi erano stati i primi tentativi di auto-organizzarsi per
discutere e reagire di fronte alle maggiori prerogative concesse a forze
dell’ordine e magistratura, è solo con il consolidamento del movimento contro la
legge-lavoro che lo stato d’emergenza ha cominciato ad essere seriamente posto
sotto accusa. Ed è così che di fronte alla crescita della mobilitazione
mercoledì 30 marzo Hollande è stato costretto – con estremo rammarico – a
ritirare la “déchéance de nationalité” e a rinunciare alla riforma in senso
securitario della costituzione[7].
Ciò detto, alcune brevi considerazioni possono
essere rapidamente delineate. È infatti chiaro che rispetto alle difficoltà
degli ultimi anni alcuni significativi punti di blocco sembrano momentaneamente
risolti. Dopo l’assassinio di Rémi Fraisse nell’ottobre del 2014, per esempio,
le reazioni da parte dei movimenti sociali e della cittadinanza francese, in
particolare a Parigi, erano apparse poco efficaci. Durante la primavera scorsa,
in occasione dei tentativi di sostegno simbolico nei confronti del popolo greco
e di Syriza, in piazza non vi erano mai più di 5.000 persone, con una
composizione generazionale paurosamente avanti con l’età. Solo i movimenti
anti-razzisti e anti-islamofobi sembravano aver assorbito il colpo del “dopo
Charlie”, organizzando un importante meeting alla Borsa del lavoro di
Saint-Denis il 6 marzo 2015, continuando a offrire un sostegno pratico e legale
ai migranti assembrati negli accampamenti di Austerlitz, Stalingrad, La
Chapelle, nel XVIII° arrondissement, a Calais, ecc., e portando in piazza decine
di migliaia di persone il 31 ottobre 2015 con La marche de la dignité.
Ora, da giovedì sera sono in corso in una dozzina di città delle
acampadas che ricordano da vicino, per composizione sociale e forme di
partecipazione, le esperienze degli Indignados e di Occupy Wall
Street. Il fenomeno, di per sé, risulta senz’altro di grande interesse in
quanto migliaia di persone si riuniscono – in molti casi per la prima volta – in
varie commissioni (a Parigi: “democrazia interna”, “azione diretta”,
“animazione”, “comunicazione” e “logistica”) a loro volta suddivise in
sotto-commissioni e poi nelle assemblee generali per discutere in uno spazio
pubblico su come rafforzare ed estendere il movimento[8].
Aldilà dei contenuti degli interventi – non sempre al livello dell’entusiasmo e
del bisogno di esprimersi – ciò che ritorna in modo martellante è l’esigenza di
creare delle reti di convergenza delle lotte e di rompere ogni tipo di
separazione. In particolare, più volte è stata posta la questione
dell’articolazione con le problematiche razziali e la situazione dei migranti.
Questo, probabilmente, il vero nodo da districare; il legame da tessere
potenzialmente ancora più carico di ricadute positive rispetto a quello
tradizionale tra studenti e lavoratori, soprattutto in un contesto specifico
come quello francese.
Cosa accadrà concretamente nelle settimane e nei
mesi a venire è ancora presto per dirlo. La partecipazione massiccia alle
manifestazioni di piazza e il loro tenore spiccatamente acceso, l’ampia adesione
agli scioperi sindacali, la ricchezza dei dibattiti nelle assemblee
universitarie, così come la passione delle nottate in piedi di questo weekend
risultano non solo incoraggianti, ma giustificano con nettezza una certa
sensazione: ce n’est qu’un début…
da Commonware
[1]
Letteralmente “si vale di più di ciò”, ma liberamente traducibile con “ci
meritiamo ben altro”.
[2]
Per una critica interna molto interessante e partecipata di un militante di base
della CGT rispetto alla gestione della piazza di giovedì 24 marzo, cfr. https://paris-luttes.info/cette-cgt-n-est-pas-la-mienne-5156?lang=fr.
[3]
Qui alcune immagini prevalentemente raccolte nella mattinata di giovedì 17 marzo
nei pressi del Boulevard Voltaire: https://www.youtube.com/watch?v=mQkO0vL8UhY&feature=youtu.be.
[4]
Per una sintesi delle prime tre settimane, cfr. https://www.youtube.com/watch?v=dukcALbc9Pc.
L’immagine di apertura del liceale malmenato giovedì 24 marzo da tre agenti è
stata vista da centinaia di migliaia di persone. Meno nota la reazione dei
compagni di scuola avvenuta l’indomani, che hanno attaccato un commissariato del
XIX° arrondissement, nei pressi del Liceo Henry Bergson: https://www.youtube.com/watch?v=sjqfAm2BWYM.
[5]
Cfr., per esempio, l’intervista a Mathieu
Rigouste.
[6]
http://www.lemonde.fr/idees/article/2016/01/29/une-mesure-discriminatoire-qui-accentue-les-fractures-francaises_4856067_3232.html.
[7]
https://www.youtube.com/watch?v=380ZKfZFgh8.
Ciononostante, le derive della società francese, con oltre un miliardo di euro
sottratti dai vincoli di bilancio e investiti nell’ambito delle politiche
securitarie, restano tutt’ora seriamente preoccupanti!
[8]
Per seguire a distanza, cfr. https://www.periscope.tv/w/1jMKgMPymobJL.
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