lunedì 16 aprile 2018
ANCORA BRACCIALETTI PER CONTROLLARE I LAVORATORI
L'introduzione sperimentale del braccialetto elettronico per controllare i dipendenti per la pulizia stradale di Livorno e Pisa desta preoccupazione e genera molte domande sull'efficacia di questa forma di verifica costante del lavoro degli operai.
Infatti Aamps,l'azienda ambientale di pubblico servizio toscana ha fatto come Tesco e ultimamente Amazon(madn verso-la-robotizzazione-totale )ed ha dotato i suoi operatori che hanno in mano l'appalto attraverso la Avr-Manutencoop di questi braccialetti che sono uno strumento di controllo totale anche se vengono visti dalle aziende che lo adottano per la produttività e l'abbattimento dei costi.
Che a dir la verità è lo stesso,poiché queste cooperative che operano già con budget risicati vedono nel lavoratore la prima spesa da abbattere drasticamente sia con la riduzione salariale che con licenziamenti.
Nel redazionale di Senza Soste(aamps-amazon-vergogna )questa vicenda che assieme all'ingresso tragico nel mondo lavorativo dei job acts ha introdotto la possibilità di utilizzare strumenti di controllo delle attività,cosa che era nemmeno pensabile prima dallo statuto dei lavoratori.
Aamps come Amazon? Vergogna!
Gli "spazzini" livornesi e pisani indosseranno i braccialetti elettronici. Ecco perchè si tratta di una misura pericolosa e vergognosa.
L’introduzione di un braccialetto elettronico per i lavoratori di Avr-Manutencoop, alleanza di imprese che ha in appalto da Aamps i servizi livornesi di pulizia stradale, è sia una vergogna che un pericolo. Dipende da che lato si guarda: se si intuisce il lato pericoloso (per i lavoratori) dell’operazione si vede anche la vergogna (il modo con il quale si cerca di introdurla) se, invece, si vede subito l’aspetto vergognoso della vicenda se ne intuiscono, dopo poco, i pericoli.
Avr, in questa vicenda, è un punto essenziale per capire cosa accade: ha sviluppato un sistema informativo di gestione per assegnare i compiti aziendali e, sul suo sito, afferma di implementare sistemi Iot (internet delle cose, in poche parole internet legata a oggetti di ogni tipo dal frigorifero ai lampioni a strumenti di lavoro) per (testuale) “avere un controllo in tempo reale su cassonetti, automezzi e altre strutture”.
https://www.avrgroup.it/gestioni-manutenzioni-costruzioni/gestioni-e-manutenzioni-stradali/servizi-e-lavori/servizi-di-gestione-delle-strade
E qui si capisce già una cosa: il braccialetto elettronico, del modello per i lavoratori dell’appalto pulizia, è un classico oggetto Iot. In poche parole fa parte del sistema di controllo di cassonetti, automezzi e altre strutture di cui, in questo modo, il lavoratore è integrante e, come dire, saldato. Anche perché questi sistemi servono per abbattere, a volte in modo drastico, i costi. E il lavorare è visto come uno dei costi da ridurre tra i tanti in una logica di riduzione, a pioggia, dei costi. E in quest’ottica non ci sono lavoratori “privilegiati”. Per la partecipazione alla costruzione del catasto digitale delle strade ai laureati in ingegneria si chiedono competenze, per la sede di Navacchio, ma si offre non uno stipendio ma (testuale) “è previsto un rimborso spese di € 500/mese”. Insomma questi ninnoli tecnologici richiedono sfruttamento a monte, dove si costruiscono i prodotti digitali e a valle, dove i lavoratori sono obbligati a usare gli oggetti digitali anzi, Iot.
Quindi, quando il management Avr dice che il braccialetto elettronico non serve per il controllo non dice il vero. Semplicemente sul suo sito già si vanta di implementare IOT per procedure di controllo. Il braccialetto che è in comunicazione col cestino serve, infatti, per controllare entrambi: perché i tempi di svuotamento del cestino dettano quelli dei movimenti del lavoratore in un matrimonio digitale.
Ma quali sono i pericoli per i lavoratori nell’implementazione di questi ninnoli? Quali sono i pericoli, quindi, di tutto questo controllo?
Il sindacato inglese GMB, che nel 2016 ha costretto Uber al riconoscimento dei diritti sindacali pensione compresa, è all’avanguardia nel monitoraggio di questi sistemi di lavoro basati su tecnologie Iot. Come si vede da questo articolo del Guardian
https://www.theguardian.com/technology/2015/aug/18/amazon-regime-making-british-staff-physically-and-mentally-ill-says-union
i lavoratori che usano un braccialetto simile a quello di Avr, ovvero quelli di Amazon, possono soffrire di problemi muscoloscheletrici da sovraccarico biomeccanico, stress, ansia fino, come registrato, a casi di aborto spontaneo nel personale femminile.
I motivi sono molto semplici. Questi prodotti sono comunque sperimentali e con una direttiva molto chiara: prima di tutto fissare i livelli di produttività sul lavoro e di risparmio economico-finanziario, in bilanci sempre ridotti all’osso. POI adattare il lavoratore, o meglio i suoi movimenti, ai sistemi IOT. E qui sarebbe interessante vedere i report delle procedure di sperimentazione del braccialetto da parte degli ingegneri che hanno prodotto l’oggetto per AVR. Su che tipo di movimenti umani hanno lavorato, su quali tempi, che tipo di staff, quali le criticità e le eventuali controindicazioni etc.
Sarebbe un’operazione trasparenza che il Comune di Livorno e Aamps dovrebbero fare: mettere a disposizione questi dati per far entrare nel merito del prodotto, e della organizzazione conseguente del lavoro, sindacati e cittadini. E per questo non bastano certo i post su Facebook.
Sulla legittimità di questo genere di implementazione di oggetti Iot nella organizzazione del lavoro la discussione è accesa. Di sicuro il Jobs Act renziano ha rotto con la situazione precedente, regolata dallo statuto dei lavoratori, che fissava il divieto assoluto di apparecchiature di controllo dell’attività lavorativa.
Oggi, comunque, per un controllo del lavoratore come in Avr sussistono due condizioni dettate esplicitamente anche dal contratto nazionale del settore: la prima è che il controllo sia legato alla produttività, la seconda che ci sia accordo sindacale. Ma, per questo parliamo di legislazione perlomeno controversa, nel secondo comma dell’articolo 4 del Jobs Act si prevede che le garanzie non si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (es. smartphone, tablet, personal computer), e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. In questi casi l’installazione non richiede alcun accordo sindacale. C’è da chiedersi quindi se il braccialetto fa parte del sistema della produttività, e quindi regolato da firma sindacale, o degli strumenti utilizzati dal lavoratore per lo svolgimento delle proprie mansioni. Bisogna ricordare che il Ministero del Lavoro, con nota del 18 giugno 2015, ha stabilito che nel momento in cui lo strumento viene modificato (ad esempio, con l’aggiunta di software di localizzazione, come nel braccialetto elettronico), non si considera più rientrante nella categoria del semplice strumento utilizzato dal lavoratore (sul quale comunque di controllo se ne fa..). Ci dovrebbe essere quindi la firma sindacale ma, per tagliare la testa al toro, visto che il capo politico del movimento 5 stelle (così si chiama la carica di Di Maio), ha detto che al governo abolirebbe il Jobs Act, Nogarin potrebbe seguirlo semplicemente rifiutandosi di adottare lo strumento in un appalto Aamps. O quantomeno smuovere i suoi uomini all’interno dell’azienda che dovrebbero controllare le modalità degli appalti-
C’è poi un’altra questione che non è di forma ma proprio di sostanza. Chi gestisce e come i dati prodotti dal braccialetto elettronico? Come sappiamo, da altre esperienze sindacali, i dati possono essere usati come forma di pressione verso il lavoratore. Ma possono essere anche venduti per operazioni di profiling e microtargeting. Conseguenza? Ad esempio, se i dati sono venduti, un lavoratore può magari vedersi rifiutato un prestito perché la banca lo considera improduttivo o a rischio lavoro. O un’assicurazione perché, leggendo i dati, giudicato poco in salute. Non ci vuole molto a capire che il braccialetto elettronico non ci deve essere. Ma anche i sindacati devono saper entrare nel sistema di controllo in tempo reale degli oggetti e degli automezzi tramite oggetti Iot perché, anche senza il braccialetto, il lavoratore lo si può severamente controllare indirettamente dai dati che questi oggetti producono.
Infine bisogna ricordare che il controllo elettronico è controllo sul salario. La produttività controllata digitalmente può significare un abbassamento del salario quando niente (dalle tecnologie, alla loro implementazione, al loro controllo, alla tutela dei dati) è controllato dai lavoratori organizzati.
Un bel problema specie quando l’amministrazione parla di controllo e sicurezza senza sapere bene del contesto di cui sta parlando. Un esempio?
Lo scorso giugno c’è la firma del protocollo di intesa tra il Comune di Livorno e l’UPM per la promozione di quella che viene chiamata Etichetta Trasparente Pianesiana contro i “crimini alimentari”. L’assessore Vece nell’occasione commenta “la firma di questo protocollo rappresenta un importante strumento per la tutela dell’ambiente e dei diritti dei consumatori. Attraverso l’applicazione di questo modello di tracciabilità delle filiere agroalimentari riusciamo a sapere infatti che cosa acquistiamo per la nostra sicurezza alimentare”. Ora il comune in materia di tracciabilità, per la trasparenza, di strada ne deve fare ancora parecchia. Già, perché il fondatore di UPM, l’organizzazione che ha firmato a Livorno il protocollo che permetterebbe la tracciabilità delle filiere contro i crimini alimentari, dall’inizio dell’anno è al centro di un’inchiesta coordinata dall’antimafia di Ancona.
https://www.cronacheancona.it/2018/03/14/mario-pianesi-il-guru-della-macrobiotica-da-tara-gandhi-a-fidel-castro-premi-e-attestati-in-tutto-il-mondo/89794/
Vece, dopo la pompa magna del protocollo del 2017, ha forse tracciato la notizia informando i cittadini su questo? Non ci risulta.
Ecco, tra trasparenza ancora da garantire ai cittadini e diritto alla privacy sul posto di lavoro la partita per il comune si fa in salita e complicata. Sono oneri di governo o, più semplicemente, la realtà dei fatti se si vuol cambiare in meglio questa città. Altrimenti ne esce una città dove l’ammistrazione non è affidabile sul piano nodale della trasparenza e dove le tecnologie, invece di essere occasione per attirare lavoro, diventano un ordigno per spremere il lavoratore fino in fondo.
redazione, 13 aprile 2018
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