In questa giornata che era nata come data di un ricordo di una strage di donne,una ricorrenza costituita come lotta e che oggi viene miseramente festeggiata come qualsiasi altra festa comandata,il post odierno lo voglio dedicare a cinque donne in carcere che rappresentano tutte quelle persone che pur avendo commesso degli errori continuano a lottare giorno dopo giorno,chi da mesi e chi da anni,molti,troppi anni.
L'articolo preso da Infoaut(www.infoaut.org )di un mese esatto fa lo riprendo perché è una denuncia non solo nei confronti dei due "giornalisti" de La Repubblica(Massimo Lugli e Clemente Pistilli)m a di un sistema carcerario che punisce e basta,dove le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità come dice la Costituzione che forse i due di sopra erano d'accordo a votare affinché si potesse cambiare.
Susanna Berardi,Maria Cappello,Barbara Fabrizi,Rossella Lupo e Vincenza Vaccaro,tutte compagne detenute da decenni e che ora sono a Latina sono state denigrate senza aver la possibilità di replicare senza scendere nei particolari delle loro decisioni e se per quello senza nemmeno essere intervistate da loro,classico esempio di giornalismo spazzatura.
Che in questa giornata vi sia un pensiero per loro e per tutte le compagne detenute non solo in Italia ma in tutto il mondo,a chi ha sbagliato,a chi ha sofferto e a chi è in carcere per la propria ideologia politica e per la lotta che continuano a portare avanti anche da dietro le sbarre,perché come dice la scritta sopra"Nessuna gabbia potrà spegnere il nostro bisogno di libertà".
Sull’articolo di Repubblica, sulle 5 brigatiste
“irriducibili”.
Il 31 gennaio scorso il quotidiano Repubblica ha pubblicato un articolo su
cinque brigatiste, nominandole le “irriducibili”. Cinque donne rinchiuse da
oltre 30 anni nel carcere di Latina. L’articolo, oltre all’essere errato in
alcune parti, è estremamente speculativo e denigrante della vita delle cinque
compagne.
Per queste ragioni ci sentiamo in dovere di
rispondere con un testo a cura di Antonello Tiddia, estrapolandone parti
sostanziali:
Sul numero di Repubblica del 31 gennaio, due
giornalisti, vogliosi di avviarsi in una carriera di arrampicatori, Massimo
Lugli e Clemente Pistilli ci raccontano di 5 donne, brigatiste irriducibili, le
definiscono, rinchiuse in una sezione di alta sicurezza nel carcere di Latina da
oltre 30 anni. […]
Ci sarebbero tante riflessioni da fare, sul
perché della prigione, sulla logica punitiva che guida le azioni, per lo più
vendicative, dello Stato di questo paese. Ci sarebbe da riflettere che lo fa in
nome di tutti noi, infliggendo punizioni di una violenza inaudita come la
sottrazione della libertà, nonostante la carta costitutiva della attuale
repubblica imponga un obbligo: “Le pene
non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”
(art. 27 della Costituzione). E nel trattamento di queste donne si potrebbe
discutere molto quanto sia disumano il modo in cui vengono trattate.
“Irriducibili. Chiuse nel loro passato di
sangue, si aggrappano con tutte le forze a ideali ormai frantumati, usano il
linguaggio degli anni di piombo, si chiamano "compagne" tra loro e rifiutano,
con ostinazione incrollabile, qualsiasi rapporto con le istituzioni e con quello
che continuano a definire "lo Stato borghese".[…] Si chiamano Susanna Berardi,
Maria Cappello, Barbara Fabrizi, Rossella Lupo e Vincenza Vaccaro, hanno tutte
una condanna all'ergastolo sulle spalle e un curriculum fatto di arresti,
sparatorie, omicidi e rivendicazioni. Sono sulla sessantina, non parlano con
nessuno che rappresenti, in qualche modo, un'istituzione e, a guardarle,
sembrano tranquille signore che si avviano alla terza età e che, in qualche
modo, cercano di curare aspetto e forma fisica (qualcuna non rinuncia a
truccarsi). Per il resto, chiusura totale.”
Troppo facile giocare col sarcasmo sprezzante,
troppo comodo schernire chi non può rispondere, né dire la propria. È il solito
gioco sporco di quei giornalisti che deridono vite umane perché non si sono
adeguate agli schemi meschini su cui i tanti imbrattacarte hanno ritagliato la
propria misera esistenza servile alle volontà del potere. Non solo vengono
derise queste donne, senza cercare di conoscere né capire il loro portato
ideale, ma l’insulto va oltre:
“Potrebbero uscire dal carcere, in
semilibertà o ottenere facilmente benefici di legge o permessi temporanei con
una semplice domanda ma nessuna di loro lo fa. Vagheggiano la lotta armata,
inneggiano alla rivoluzione, si trincerano dietro slogan ormai sbiaditi dal
tempo nonostante la stragrande maggioranza dei loro ex compagni, quelli che
avevano imbracciato le armi come tanti altri di una generazione perduta, siano
ormai liberi, tra pentiti, dissociati, graziati, collaboratori di
giustizia.”
Potrebbero informarsi, i signori giornalisti,
leggere qualche libro, per sapere le attività, gli obiettivi e gli ideali di
quella che definiscono “generazione perduta” che da tempo ha raccontato e
analizzato i propri percorsi per far conoscere cosa voleva raggiungere e per
cosa si batteva.
È vero, la gran parte dei quelle e quelli che
attraversarono quei miseri luoghi senza vita né tempo che sono le galere, oggi
sono liberi. Ma non perché siano pentiti o dissociati, o graziati o
collaboratori di giustizia, questo è un falso. La gran parte ne è uscita con la
schiena dritta e a testa alta, senza rinnegare il proprio percorso collettivo,
senza dar nulla in cambio, da compagne e compagni, utilizzando le leggi
esistenti. Certo, sono usciti dopo 30 anni, o giù di lì, trascorsi in quei
luoghi disumani e hanno ripreso il loro posto nella conflittualità sociale che
caratterizza la realtà attuale. Queste cinque compagne ritengono di non
avvalersi di quelle leggi, hanno le loro ragioni.
“Nadia Fontana, la direttrice del carcere,
rifiuta educatamente, ma fermamente, qualunque colloquio con i cronisti. Eppure
le sette recluse "politiche", almeno ideologicamente, non hanno mai deposto le
armi e sono ancora un pericolo.”
Se da giornalisti volete affrontare questi
argomenti, bene, chiedete che sia data parola a queste prigioniere, a Susanna
Berardi, a Maria Cappello, a Barbara Fabrizi, a Rossella Lupo e a Vincenza
Vaccaro. I dirigenti delle carceri vi diranno che non è possibile che la parola
è a loro negata, bene, allora dovete battervi per ottenere che sia data a queste
cinque compagne la parola perché siano loro a raccontare le loro scelte, non voi
per loro. Se non siete capaci di far questo, continuate a crogiolarvi nella
vostra ignoranza, ma fatelo in silenzio.
Le compagne oramai sono in carcere da oltre 30
anni e devo dire con molto rammarico che anche il nostro silenzio è stato
assordante. Ci sono compagne e compagne che in questi anni si stanno di nuovo
mobilitando, hanno raccolto contributi per le compagne e i compagni in carcere
(prigionieri politici) che hanno mandato a Latina, Terni (dove tra l’altro i
compagni hanno comprato una stampante), a Nadia Lioce a L’Aquila (il vaglia è
rimasto bloccato oltre un anno dal giudice di sorveglianza ma finalmente è
arrivato), a Siano (ora i compagni di Siano sono tutti a Alessandria).
Ricordiamo anche che dei prigionieri tre sono in
regime speciale di 41 bis. Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi, con
limitazioni, divieti… e ci sono alcune campagne a cui invito a partecipare come
Pagine contro la tortura.
Articolo Osservatoriorepressione
Articolo Repubblica
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