lunedì 9 marzo 2015

ASKAPENA AURRERA!

Mentre da un lato il consenso nei Paesi Baschi di formazioni politiche indipendentiste di sinistra ottengono sempre più largo consenso,anche perché fino a qualche anno fa erano dichiarate illegali,dall'altro lo Stato spagnolo vuole delegittimare il lavoro dei compagni cercando di chiudere e colpire alcune associazioni nel corso degli ultimi tempi.
Da sindacati come il Lab arrivando ad Herrira ecco che è Askapena in questi giorni il nemico pubblico numero uno in quanto il tribunale inquisitorio madrileno dall'Audiencia Nacional vuole la dissoluzione dell'organizzazione internazionalista basca con la richiesta di trent'anni di carcere per cinque suoi membri e la chiusura di due realtà economiche dedite al commercio equo e solidale.
Uno dei militanti inquisiti è il sociologo Unai Váz­quez che parla nell'intervista sotto presa da Infoaut della strategia della Spagna di soffocare e condannare i movimenti indipendentisti baschi in quanto anche solo l'attività internazionale di Askapena per i giudici spagnoli la teoria del tutto è Eta assume come sempre un carattere di forza per la loro repressione.

Perché lo stato spagnolo vuole dissolvere Askapena.
  • Paesi Baschi. Intervista al sociologo internazionalista Unai Vázquez
    Si fa sem­pre più forte la crisi strut­tu­rale dello Stato spa­gnolo. Nei Paesi baschi, la sini­stra indi­pen­den­ti­sta, alle prese con un con­tro­verso pro­cesso di pace “uni­la­te­rale”, governa diverse ammi­ni­stra­zioni locali ed è in forte ascesa elet­to­rale. Nono­stante le grandi dimo­stra­zioni d’appoggio cit­ta­dino, l’ostruzionismo con­tro la stra­te­gia indi­pen­den­ti­sta del “Diritto a deci­dere” non si smuove di un cen­ti­me­tro. Il governo con­ti­nua a usare l’annientamento poli­zie­sco del “nemico interno” per non lasciarsi scap­pare l’appoggio dello spa­gno­li­smo più radi­cale. Solo la scorsa set­ti­mana, la Audien­cia Nacio­nal ha chie­sto la dis­so­lu­zione della sto­rica orga­niz­za­zione inter­na­zio­na­li­sta Aska­pena (in basco “libe­ra­zione”), attiva dal 1987; trent’anni di car­cere per cin­que mem­bri e la chiu­sura di due imprese che si dedi­cano al com­mer­cio giusto.

    Le richie­ste dell’Alta Corte arri­vano cin­que anni dopo la retata che portò in car­cere otto atti­vi­sti della piat­ta­forma. Tra i mili­tanti a cui viene impu­tato di aver agito per «inter­na­zio­na­liz­zare l’attività di Eta» c’è Unai Váz­quez, socio­logo dell’Università del País Vasco: «Biso­gna sot­to­li­neare che già prima della retata, si era inten­si­fi­cata la cam­pa­gna media­tica con­tro le nostre atti­vità inter­na­zio­na­li­ste. Diciamo che i nostri rap­porti soli­dali con movi­menti anti-egemonici hanno sem­pre subito le mani­po­la­zioni dei gior­nali della destra, e anche di quelli teo­ri­ca­mente pro­gres­si­sti, come El País per esem­pio. Per­so­nal­mente, quando mi tro­vavo in Boli­via nel 2005, tira­rono fuori un assurdo mon­tag­gio gior­na­li­stico per affer­mare che ero entrato ille­gal­mente nel paese. Cosa asso­lu­ta­mente infon­data. Que­sta atti­vità dif­fa­ma­to­ria si è signi­fi­ca­ti­va­mente raf­for­zata per legit­ti­mare l’azione repressiva».

    Al di là del ruolo dei mezzi d’informazione, come pre­cisa il tren­ta­seienne atti­vi­sta di Bara­kaldo, un pae­sino a pochi minuti da Bil­bao, col­pi­sce il “tem­pi­smo” della retata nel 2010. «Poco prima, Eta aveva comu­ni­cato la sospen­sione delle atti­vità armate. Non era ancora la tre­gua defi­ni­tiva, che arrivò poco dopo, ma già si per­ce­piva la fine dell’attività armata e l’inizio di una nuova tappa di lotta. Altret­tanto chia­ra­mente, la retata evi­den­ziò che lo Stato non accet­tava la tre­gua. E che la cro­ciata dell’apparato repres­sivo era con­tro i diritti riven­di­cati dal movi­mento popo­lare basco».

    Ora, le pesan­tis­sime richie­ste con­fer­mano la tesi dell’allora giu­dice tito­lare Bal­ta­sar Gar­zón secondo il quale «tutto è Eta», ossia che que­sta non era solo un’organizzazione armata, ma un appa­rato poli­tico e sociale. In vista delle vicine ele­zioni pre­si­den­ziali e nelle comu­nità auto­nome, il tra­bal­lante governo sem­bra pro­varle tutte. Comin­ciando dalle «ille­ga­liz­za­zioni», che sem­bra­vano esser pas­sate di moda: «Vogliono “ille­ga­liz­zare” anche un’associazione sociale vin­co­lata con Aska­pena. E’ un passo in avanti dell’apparato repres­sivo col­pire un’associazione che si dedica a orga­niz­zare atti­vità ludi­che e sociali durante le tra­di­zio­nali feste estive di Bil­bao», dice Unai. E poi pre­cisa come la stra­te­gia repres­siva vada più in là della con­giun­tura elet­to­rale: «Non cre­diamo che la tat­tica elet­to­rale sia la ragione ultima dell’accanimento con­tro Aska­pena, per­ché sfor­tu­na­ta­mente rien­tra in una stra­te­gia più pro­fonda. Una stra­te­gia — riprende — con­tro il nostro popolo, per la nega­zione dei nostri diritti e per farci cre­dere che la sola via d’uscita sia quella di arren­derci. Per col­pire una soli­da­rietà rivo­lu­zio­na­ria, una tene­rezza popo­lare e reci­proca, d’andata e ritorno, che rompe l’isolamento a cui vor­reb­bero con­dan­narci, por­tando le nostre lotte nel mondo e il mondo nelle nostre lotte. Un inter­na­zio­na­li­smo “com­plice” con il pro­cesso di libe­ra­zione sociale della nostra nazione senza Stato».

    Sor­ride, Unai, e dice: «Sì, Aska­pena scom­pa­rirà un giorno, ma solo per sua deci­sione. Quando avrà già fatto della soli­da­rietà inter­na­zio­na­li­sta un pila­stro dell’alternativa basca».

    di Davide Angelilli

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