Mentre da un lato il consenso nei Paesi Baschi di formazioni politiche indipendentiste di sinistra ottengono sempre più largo consenso,anche perché fino a qualche anno fa erano dichiarate illegali,dall'altro lo Stato spagnolo vuole delegittimare il lavoro dei compagni cercando di chiudere e colpire alcune associazioni nel corso degli ultimi tempi.
Da sindacati come il Lab arrivando ad Herrira ecco che è Askapena in questi giorni il nemico pubblico numero uno in quanto il tribunale inquisitorio madrileno dall'Audiencia Nacional vuole la dissoluzione dell'organizzazione internazionalista basca con la richiesta di trent'anni di carcere per cinque suoi membri e la chiusura di due realtà economiche dedite al commercio equo e solidale.
Uno dei militanti inquisiti è il sociologo Unai Vázquez che parla nell'intervista sotto presa da Infoaut della strategia della Spagna di soffocare e condannare i movimenti indipendentisti baschi in quanto anche solo l'attività internazionale di Askapena per i giudici spagnoli la teoria del tutto è Eta assume come sempre un carattere di forza per la loro repressione.
Perché lo stato spagnolo vuole dissolvere Askapena.
Paesi Baschi.
Intervista al sociologo internazionalista Unai Vázquez
Si fa sempre più forte la crisi strutturale
dello Stato spagnolo. Nei Paesi baschi, la sinistra indipendentista, alle
prese con un controverso processo di pace “unilaterale”, governa diverse
amministrazioni locali ed è in forte ascesa elettorale. Nonostante le
grandi dimostrazioni d’appoggio cittadino, l’ostruzionismo contro la
strategia indipendentista del “Diritto a decidere” non si smuove di un
centimetro. Il governo continua a usare l’annientamento poliziesco del
“nemico interno” per non lasciarsi scappare l’appoggio dello spagnolismo più
radicale. Solo la scorsa settimana, la Audiencia Nacional ha chiesto la
dissoluzione della storica organizzazione internazionalista
Askapena (in basco “liberazione”), attiva dal 1987; trent’anni di carcere
per cinque membri e la chiusura di due imprese che si dedicano al
commercio giusto.
Le richieste dell’Alta Corte arrivano cinque
anni dopo la retata che portò in carcere otto attivisti della piattaforma.
Tra i militanti a cui viene imputato di aver agito per
«internazionalizzare l’attività di Eta» c’è Unai Vázquez, sociologo
dell’Università del País Vasco: «Bisogna sottolineare che già prima della
retata, si era intensificata la campagna mediatica contro le nostre
attività internazionaliste. Diciamo che i nostri rapporti solidali con
movimenti anti-egemonici hanno sempre subito le manipolazioni dei giornali
della destra, e anche di quelli teoricamente progressisti, come El País
per esempio. Personalmente, quando mi trovavo in Bolivia nel 2005,
tirarono fuori un assurdo montaggio giornalistico per affermare che ero
entrato illegalmente nel paese. Cosa assolutamente infondata. Questa
attività diffamatoria si è significativamente rafforzata per
legittimare l’azione repressiva».
Al di là del ruolo dei mezzi d’informazione, come
precisa il trentaseienne attivista di Barakaldo, un paesino a pochi
minuti da Bilbao, colpisce il “tempismo” della retata nel 2010. «Poco
prima, Eta aveva comunicato la sospensione delle attività armate. Non era
ancora la tregua definitiva, che arrivò poco dopo, ma già si percepiva la
fine dell’attività armata e l’inizio di una nuova tappa di lotta. Altrettanto
chiaramente, la retata evidenziò che lo Stato non accettava la tregua. E
che la crociata dell’apparato repressivo era contro i diritti rivendicati
dal movimento popolare basco».
Ora, le pesantissime richieste confermano la
tesi dell’allora giudice titolare Baltasar Garzón secondo il quale «tutto è
Eta», ossia che questa non era solo un’organizzazione armata, ma un apparato
politico e sociale. In vista delle vicine elezioni presidenziali e nelle
comunità autonome, il traballante governo sembra provarle tutte.
Cominciando dalle «illegalizzazioni», che sembravano esser passate di
moda: «Vogliono “illegalizzare” anche un’associazione sociale vincolata con
Askapena. E’ un passo in avanti dell’apparato repressivo colpire
un’associazione che si dedica a organizzare attività ludiche e sociali
durante le tradizionali feste estive di Bilbao», dice Unai. E poi precisa
come la strategia repressiva vada più in là della congiuntura elettorale:
«Non crediamo che la tattica elettorale sia la ragione ultima
dell’accanimento contro Askapena, perché sfortunatamente rientra in una
strategia più profonda. Una strategia — riprende — contro il nostro
popolo, per la negazione dei nostri diritti e per farci credere che la sola
via d’uscita sia quella di arrenderci. Per colpire una solidarietà
rivoluzionaria, una tenerezza popolare e reciproca, d’andata e ritorno,
che rompe l’isolamento a cui vorrebbero condannarci, portando le nostre
lotte nel mondo e il mondo nelle nostre lotte. Un internazionalismo
“complice” con il processo di liberazione sociale della nostra nazione senza
Stato».
Sorride, Unai, e dice: «Sì, Askapena
scomparirà un giorno, ma solo per sua decisione. Quando avrà già fatto della
solidarietà internazionalista un pilastro dell’alternativa basca».
di Davide Angelilli
da Il
Manifesto
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