Borrell: “La vera sfida per l’Europa è la Cina”.
di Salvatore Rondello
Un nuovo equilibrio geopolitico non è possibile raggiungerlo nel breve senza fare i conti con la Cina. Questo si è capito da tempo come è stato scritto sulle pagine di questo giornale.
Oggi se ne è accorto anche Borrell, l’Alto rappresentante Ue per Esteri e Sicurezza che a “La Repubblica” ha dichiarato: “La vera sfida per Ue è la Cina. Come rapportarsi alla Cina è questione di cruciale importanza per l’Ue, persino più complessa del tema Russia. Pechino vuole costruire un nuovo ordine mondiale e diventare entro la metà secolo la prima potenza. L’Ue deve ricalibrare la sua politica
per 3 motivi: i cambiamenti in atto nel Paese,sempre più nazionalista e ideologizzato, l’inasprimento della competizione strategica tra Usa e Cina,l’ascesa della Cina quale attore chiave”.
In vista del G7 in Giappone, il portavoce del ministero degli esteri cinese, Wang Wenbin, ha detto: “Se i Paesi del G7 si preoccupano davvero della sicurezza economica, dovrebbero chiedere agli Usa di smettere immediatamente di sopprimere e contenere gli altri Paesi in nome della sicurezza nazionale, fermare il bullismo unilaterale indiscriminato, smettere di costringere gli alleati a formare cricche esclusive e di sconvolgere il mondo”.
Così la Cina ha messo le mani avanti in merito alle indiscrezioni secondo cui il documento finale che i leader del Gruppo dei Sette Paesi più industrializzati diffonderanno alla fine del summit di Hiroshima (19-21 maggio), in Giappone, potrebbe menzionare la sicurezza economica e sottolineare le contromisure contro la coercizione economica della Cina.
Infatti, Wang ha aggiunto: “Quando si tratta di coercizione economica, questo cappello è più adatto agli Stati Uniti. In quanto vittima degli accordi del Plaza degli anni ’80, il Giappone (che accettò di svalutare la sua valuta) dovrebbe avere la comprensione più profonda di ciò”.
Dunque, le principali minacce all’economia mondiale, nella necessità di assicurare la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento, sono quelle di dividere il mondo in due grandi mercati e due grandi sistemi.
Mentre nel fine settimana a Hiroshima il G7 cercherà di trovare un accordo sulle misure contro la “coercizione” economica cinese invocate da Washington, che intende portare la discussione sull’export di tecnologia e di software per impedire a Pechino di accelerare sulla strada dell’intelligenza artificiale, a Xi’an viene inaugurata ufficialmente una nuova era di cooperazione tra la Cina e un’Asia centrale nella quale diminuisce il peso degli Usa, ormai limitato all’assistenza finanziaria, e decresce, seppur ancora fortemente persistente, l’autorità russa.
Ieri e oggi, Xi Jinping riceve a Xi’an, nella provincia dello Shaanxi, i capi di stato di Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan con cui spera di lavorare per costruire insieme una nuova Belt and Road Initiative (Bri), in modo da promuovere lo sviluppo e la prosperità di tutti i paesi interessati dall’iniziativa.
I cinque paesi ex sovietici, rimasti nella sfera d’influenza di Mosca dopo il crollo dell’Urss, temono che, prima o poi, potrebbero essere costretti a fare i conti con l’imperialismo di Vladimir Putin. Non a caso, i paesi dell’Asia centrale hanno mostrato una certa irritazione nei confronti dell’azione russa in Ucraina.
Yu Jun, vicedirettore generale del dipartimento Europa-Asia del Ministero degli Esteri cinese, durante il primo briefing al centro di stampa del summit, ha dichiarato che, attualmente, la situazione in Asia centrale è influenzata da diversi fattori e sta affrontando nuove sfide, per cui i paesi della regione desiderano rafforzare la cooperazione con la Cina a favore dello sviluppo e della sicurezza comune.
A Xi’an i leader delle cinque repubbliche presidenziali si riuniranno per definire lo sviluppo futuro e costruire insieme una più stretta comunità. Inoltre, ufficializzeranno il loro sostegno al tentativo di mediazione basato sul piano cinese per una “soluzione politica della crisi ucraina”, mal digerito da Mosca.
Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan hanno visto l’economia del loro ex protettore indebolirsi per effetto delle sanzioni internazionali, perciò le repubbliche centroasiatiche si stanno riavvicinando a Pechino per poter prendere più agevolmente le distanze da Mosca.
La scelta di Xi’an come sede dell’evento è simbolica. L’ex capitale imperiale era, difatti, il punto di partenza dell’antica via della seta, oltre duemila anni fa e la Cina ha gli occhi puntanti all’Asia Centrale dal lontano 2013, quando dalla capitale kazaka Nur-Sultan Xi Jinping annunciò la nascita della Bri, la nuova via della Seta.
Secondo il quotidiano Domani: “Pechino sta rafforzando le relazioni con i cinque paesi dell’Asia centrale anzitutto perché essi rappresentano indispensabili partner di sicurezza. Il Tagikistan, il Turkmenistan e l’Uzbekistan hanno frontiere in comune con l’Afghanistan, che a sua volta confina con il Xinjiang popolato dalla minoranza musulmana degli uiguri”.
La cooperazione nella stabilizzazione dell’Afghanistan è fondamentale per la Cina. Difatti, questo è uno dei temi al centro dell’agenda di Xi’an. L’area, per Pechino, è strategica anche per le sue risorse energetiche, che hanno un potenziale enorme, ma che sono poco sfruttate, a causa della scarsa capacità produttiva locale.
Negli ultimi anni la Cina ha costruito un oleodotto di 2.200 km che porta il petrolio dal Kazakistan al Xinjiang e, nel 2009, ha lanciato il gasdotto Asia centrale-Cina che la collega a Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan. Nel settembre scorso, Pechino ha annunciato l’avvio dei lavori per un quarto gasdotto tra il Xinjiang e il Turkmenistan attraverso il Kirghizistan e l’Uzbekistan.
Il commercio bilaterale tra i cinque ‘stan’ e la Cina è in costante aumento. Durante il vertice della Shanghai cooperation organization (SCO), tenutosi a settembre 2022. Sempre su Domani si legge: “Xi ha annunciato che la Cina avrebbe fornito 150 milioni di yuan (24,37 milioni di dollari) in aiuti umanitari ai membri della “Nato dell’est” (di cui fanno parte i paesi dell’Asia Centrale), e “le compagnie di stato cinesi hanno avviato tanti progetti infrastrutturali molto rilevanti, come la nuova ferrovia che collegherà la Cina al Kirghizistan e all’Uzbekistan. L’offerta di Pechino è irrinunciabile: la connettività della nuova via della Seta, che promette di sviluppare le economie dei cinque vicini, e il mercato cinese, pronto ad accogliere le loro esportazioni di materie prime”.
Gli Stati Uniti ed il G7 rincorrono e nel frattempo, hanno rinnovato le loro promesse di assistenza finanziaria all’Asia centrale, che però “vuole continuare a guardare a Mosca, senza disdegnare il sostegno occidentale, ma avvicinandosi di più alla Cina”.
Il mondo è sempre più diviso in due con la Russia che, ormai, con la guerra in Ucraina, esce di scena per essere rimpiazzata dalla Cina.
Così, da una parte gli Stati Uniti a rischio default e dall’altra una Cina opulenta con ingenti risorse di liquidità. In questa situazione non dovremmo stupirci se la Cina potrebbe diventare tra pochi anni la prima potenza mondiale come sostiene Borrell.
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G7, piano Biden contro Russia e Cina. Meloni e il nodo Via della Seta
Via al vertice di Hiroshima. Pechino denuncia: "Un circolo chiuso. divide invece di unire". Gli Usa vogliono nuovi steccati economici, Italia sotto osservazione.
di Redazione Esteri
Giorgia Meloni è alla prova del suo primo G7 da presidente del Consiglio. Un G7 ad alto contenuto strategico, visto che si svolge nel bel mezzo della guerra in Ucraina e della contesa a tutto campo tra Stati Uniti e Cina. Non a caso proprio Mosca e Pechino saranno i due temi principali di un vertice che nella prospettiva di Cina e Russia "divide", invece di unire. "Un circolo chiuso", lo definiscono in particolare i media di stato cinesi.
Meloni è impegnata a mostrare l'affidabilità dell'Italia ai principali partner, Stati Uniti compresi, che si aspettano rassicurazioni sulla partecipazione italiana alla Belt and Road Initiative di Pechino. La premier ha più volte manifestato l'intenzione di uscire dall'accordo firmato dal governo Conte nel 2019, ma non ha ancora preso una decisione definitiva. Secondo indiscrezioni, Joe Biden avrebbe "concesso" qualche altro mese per prendere e soprattutto comunicare la decisione. Forse per consentire a Meloni di annunciare la decisione durante un colloquio con Xi Jinping o una visita in Cina, mossa che potrebbe garantire meno problemi nelle relazioni bilaterali con Pechino. Ma resta improbabile pensare a una permanenza dell'Italia nell'accordo, anche perché nel 2024 raccoglierà il testimone del Giappone per l'organizzazione del summit.