sabato 29 giugno 2013

IL PENTITO DEL VATICANO

 
Breve post e articolo correlato preso da Infoaut che raccontano di un'altra vergognosa storia di abusi sessuali di preti,anche di alto lignaggio,che è venuta alla luce nella città di Roma,con ragazzini stranieri adescati per festini a base di orge.
Tra i procacciatori di minorenni figura pure un'ex carabiniere che riusciva,con l'aiuto pure di automezzi istituzionali,a costringere questi ragazzi a partecipare agli incontri sessuali che vedono ancora una volta protagonisti negativi dei servitori di Cristo anche molto vicini al Papa Bergoglio.
Tutto è saltato fuori dalla denuncia di un ex sacerdote pentito che con tanto di nomi e cognomi ha denunciato alle autorità questo giro di prostituzione che vedeva una miscellanea di gusti sessuali come preferenze dei preti,dai pedofili agli omosessuali agli etero.
Aspettando novità sul caso cremasco di Mauro Inzoli,ancora insabbiato forse per minacce o tramite non precisati consigli e direttive,un altro caso dove la religione,tra affari economici e scandali sessuali,sprofonda in un baratro fatto di orrore e corruzione.

Prima "pace e bene" poi orge in Vaticano.
I nomi degli ecclesiastici sotto accusa.
Sono romeni i ragazzi e le ragazze adescati per partecipare ai festini con i preti pedofili e non. Venivano reclutati in locali notturni, nei pressi della stazione Termini, anche dentro una chiesa.
A denunciarlo è don Patrizio Poggi, di 46 anni, ex sacerdote, che proprio dopo una condanna a 5 anni per reati sessuali, a marzo è andato dai carabinieri, per tutelare, secondo le sue parole, la santa chiesa e la comunità cristiana.
Ma non è finita qui. A spuntare è infatti anche una figura di spessore che ha deciso di controfirmare le 5 pagine di denuncia. Si tratta di  mons. Luca Lorusso, il numero due della Nunziatura apostolica in Italia, il vice dell'ambasciatore vaticano Adriano Bernardini, intimo di papa Bergoglio, per essere stato nunzio apostolico a Buenos Aires per 10 anni. Le dichiarazioni di Don Poggi portano alla luce un elenco di preti: tra questi monsignor Camaldo, vicecerimoniere del papa, e monsignor Filippi, prima segretario particolare dell'ex presidente della CEI, Ruini, e ora del cardinal Vallini, vicario di Roma.
Esiste poi la figura del procacciatore, anche: è un ex carabiniere, tale Buonviso, che invece avrebbe reclutato dei ragazzi a bordo di automezzi istituzionali.
Ecco l’elenco dei nomi nella denuncia di Poggi:
Mons. Francesco Camaldo, vicecapocerimoniere pontificio; Don Gianfranco Ferrigno, parroco di San Bruno alla Pisana; Don Renzo Chiesa, parroco di San Gregorio Magno alla Magliana; Don Nunzio Currao, parroco di san Filippo Neri alla Pineta Sacchetti; Mons. Nicola Filippi, segretario del cardinale Agostino Vallini; Mons. Nicola Tagliente, cappellano della Polizia di Stato.
C'è poi un'ulteriore immagine con una parte della denuncia dove si legge: Cartella denominata "PRETI". Nella cartella vi sarebbero diverse foto, allegate alla denuncia, relative ai sacerdoti e a un vescovo che nell'ambiente ecclesiastico –  si vocifera così - avrebbero frequentazioni omosessuali e in alcunii casi anche con minori di 18 anni.
I preti sono:
Don Aleardo di Giacomo; Don Ugo Quinzi; Don Massimo Tellan, parroco di sant'Enrico a Casal Monastero a Roma; Don Nicola Tagliente, cappellano della P. S. e della questura a Roma; Don Domenico Repice, arrestato nel 2006, nell'operazione "Fiori nel fango 2"; Don Giuseppe Grazioli, parroco di san Giuseppe B. Cottolengo a Roma; il vescovo attuale di Tivoli , Mons Mauro Parmeggiani.
Fonte: controlacrisi.org

venerdì 28 giugno 2013

I TORTURATI DI PALESTINA

Avevo parlato della tortura fisica e psicologica proprio l'altro giorno per quanto riguarda i prigionieri politici baschi,ancor più volte di quello che accade in Italia sia in carcere che nelle camere d'insicurezza delle caserme delle forze del disordine,con i filmati a circuito chiuso tagliati e le famose scale a saponetta di vari posti di detenzione,e oggi arriva un documento del centro studi Asra Filastin in cui si evince che si è giunti alla settantunesima vittima palestinese nelle carceri israeliane.
Una vera e propria strage che emerge da un numero di oltre novecento denunce di torture,non "semplici"abusi,pratiche studiate e concepite da menti malate che impiegano anni a migliorare le proprie tecniche usando come cavie proprio i prigionieri nelle carceri.
L'articolo preso da Contropiano mette in evidenza questo fatto e ne denuncia la gravità e l'urgenza di poter far conoscere queste morti dovute al sopruso di uno Stato che ha le spalle coperte dalla stragrande maggioranza del mondo occidentale...quello democratico e libero.

Sono 71 i prigionieri palestinesi morti sotto tortura nelle carceri israeliane

“Israele pratica la tortura sistematicamente e deliberatamente contro i prigionieri palestinesi, e con il benestare della magistratura. Qui non si tratta di comportamenti individuali, come invece dichiarano i leader israeliani”. Lo ha reso noto il Centro di studi Asra Filastin (Prigionieri della Palestina), in un comunicato diramato in occasione della Giornata internazionale contro la tortura, del 26 giugno. Il centro ha sostenuto le sue accuse citando le relazioni del Comitato pubblico contro la Tortura, che a loro volta, confermano che più di 900 denunce sono state mosse da ex detenuti palestinesi, liberati negli ultimi anni, che affermano di aver subito torture durante la detenzione. Il centro ha aggiunto che nessun caso è stato indagato e i responsabili sono tuttora liberi, il che prova la complicità delle istituzione giudiziarie con gli apparati di sicurezza, con il via libera, dato ai responsabili degli interrogatori, all’uso di metodi proibiti di tortura contro i palestinesi, per ottenere informazioni.
Il rapporto ha affermato che Israele legittima la tortura in nome della legge, “permettendo ai criminali della sicurezza interna, lo Shabak, di seviziare i prigionieri, senza alcun rispetto per la dignità umana, il tutto con la copertura dei tribunali israeliani, che garantiscono l’immunità ai responsabili degli interrogatori, nel caso venissero denunciati”. “Ciò rappresenta un esplicito invito a perpetrare l’uso delle torture, vietate a livello internazionale, contro i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane”, ha aggiunto il centro. Il rapporto si è concluso affermando che la politica in questione  ha portato alla morte di 71 prigionieri, l’ultimo dei quali è stato
Arafat Jaradat
, da Hebron, la cui principale causa di morte è stata la tortura.

giovedì 27 giugno 2013

TAV MAFIA

L'articolo postato oggi vuole far riflettere per l'ennesima volta su tutto quello che c'è dietro alle tanto decantate migliorie economiche e sociali che la Tav dovrebbero dare a tutta la collettività,mentre come da mestiere italiano tutto va a finire nelle tasche dei politici e dei grandi costruttori che con tangenti e metodi mafiosi(d'altronde lo sono)si accaparrano appalti milionari.
E'recente la notizia che la Guardia di Finanza di Torino abbia inchiodato delle persone di diverse aziende della regione Piemonte che tramite accordi sottobanco hanno potuto partecipare al magna magna della costruzione della metropolitana di Torino,e guarda caso una ditta protagonista di una truffa di almeno dieci milioni di Euro è la Cogefa-Lauro,che ha in mano lavori nella Tav.
L'articolo di Infoaut racconta gli intrallazzi che intercorrono tra lor signori ed i politicanti accondiscendenti che lucrano sulle persone e sull'ambiente.

Dal Tav alla metro di Torino, stesse ditte e stessa truffa.

E' di questa mattina la notizia di un'operazione condotta a Torino dalla guardia di Finanza in merito ad una maxi truffa relativa agli appalti per la costruzione della tratta più recente della metropolitana cittadina: si parla di 10 milioni di euro che comprendono anche tonnellate di materiale fatturato ma mai effettivamente utilizzato nella costruzione della linea.
Il meccanismo si è basato sulla stipulazione di 'accordi segreti' tra un'azienda di Vercelli e una di Torino che, grazie alle certificazioni false della prima, ha partecipato senza autorizzazione ai lavori della metropolitana.
Fin qui si potrebbe dire niente di nuovo, che speculazioni e appalti poco chiari siano all'ordine del giorno in affari di questo tipo era prevedibile, soprattutto dopo l'elezione di Torino a città dei grandi eventi; più interessante è reperire qualche informazione in più sulla ditta coinvolta nella truffa, la Cogefa-Lauro, ed ecco che ancora una volta spuntano nomi già noti...
Gli accordi con la ditta vercellese hanno infatti permesso ai loro colleghi di Torino di partecipare con appalti truccati non solo alla costruzione della linea metropolitana ma anche a quella di diverse altre grosse infrastrutture del territorio piemontese tra i quali la linea ad alta velocità Torino Lione!
Casomai ce ne fosse bisogno, la vicenda conferma una volta di più quali siano i reali interessi dietro alla costruzione del Tav e come le ditte coinvolte siano sempre le stesse pronte a comparire ogni qual volta ci sia odore di speculazione e possibilità di spartirsi il bottino con la costruzione delle grandi opere. Da Torino alla Val di Susa la truffa corre veloce...

mercoledì 26 giugno 2013

EUSKAL PRESO ETA IHESLARIAK ETXERA

Durante l'ultimo viaggio militante in Euskal Herria ha avuto enorme risalto la tappa della mattinata passata ad Hernani,un paesotto alle porte di Donostia tra le roccaforti della sinistra indipendentista di tutti i Paesi Baschi,dove oltre ad essere stati ricevuti dal sindaco Luis Intxauspe Arozena con un preavviso minimo,abbiamo visitato la sede del sindacato del Lab e la sede dell'associazione Etxera.
Il sindaco ci ha accolti cordialmente nella sala dei ricevimenti e ha esposto alcune tematiche care agli Euskal Herriaren Lagunak,il gruppo di amici e di amiche di Euskal Herria,come la difficoltà del fare politica con una repressione allucinante dello stato spagnolo(e francese)e la situazione dei prigionieri politici cui parlerò successivamente,e alla fine ci ha fatto avere dei documenti interessanti sul lavoro del comune di Hernani che assieme ad altri si sono uniti per alzare la voce sui diritti umani calpestati.
Il tutto si è concluso con una foto di noi turisti non per caso assieme al sindaco,altre foto dal balcone del palazzo comunale dove sono presenti la bandiera dei prigionieri politici,l'Ikurrina,quella del comune e si sono dimenticati di quella spagnola...,un incontro davvero speciale,emozionante e soprattutto inatteso.
Dopo una breve tappa alla sede del Lab(Langile Abertzaleen Batzordeak,la commissione operaia di sinistra dei lavoratori baschi)dove si sono visitati gli uffici della sede cittadina senza dimenticare che il loro segretario nazionale Rafa Diez è tutt'ora detenuto per motivi politici,uno degli arresti eccellenti dell'eminenza nera Baldasar Garzon assieme a quello Arnaldo Otegi,il protavoce delle proteste politiche del popolo basco(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/10/ancora-arresti-in-euskal-herria.html ).
L'ultima e più sostanziosa tappa(in termini di tempo)è quella che ci ha portati nella sede nazionale di Etxera,l'associazione che si occupa di tutti i prigionieri politici ed i rifugiati di Euskal Herria,ed in particolar modo è attiva nell'aiutare i parenti di queste persone a poter visitare i loro cari incarcerati a centinaia di chilometri di distanza dalla loro casa grazie alle leggi fasciste di Madrid.
La maggior parte di questi prigionieri stanno subendo condanne preventive solo per il fatto di fare politica:nei Paesi Baschi tenere un comizio,appendere manifesti e adesivi,organizzare cortei e insomma tutto quello che è fare politica partendo dal basso e dalle strade è considerato illegale e"degno"di pene molto pesanti.
I volontari di Etxera ci hanno spiegato l'organizzazione tramite pullman e altri mezzi per lo spostamento dei parenti e degli amici dei prigionieri politici,le differenze di tali viaggi nel caso in cui la persona sia detenuta in Spagna o Francia,con il primo paese che detiene la maggioranza dei detenuti(vi sono incarcerati pure in Portogallo,Irlanda ed Inghilterra ma in misura minore,e anche l'Italia fino a poco tempo fa aveva Lander Fernandez Arrinda imprigionato a Roma ed ora estradato in Spagna).
Tra domande e risposte sui vari casi,sulle intimidazioni che sistematicamente colpiscono gli imprigionati soprattutto durante i primi giorni di privazione della libertà con torture fisiche e psicologiche(durante questi giorni nessuno sa dove stia il detenuto che non può ricevere nemmeno la visita dell'avvocato),si è parlato pure dei detenuti la cui condizione di salute non permette la vita in carcere.
Aveva destato molto clamore il caso di Josu Uribetxeberria
(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/08/fermati-sei-compagni-baschi-durante-una.html e relativo link)malato di tumore e nell'impossibilità di potersi curare con tutti i crismi del caso,e come lui sulle centinaia di prigionieri ve ne sono più di venti nelle stesse condizioni.
Il fatto che lo stallo su quest'ultima condizione e sul fatto che i detenuti non si possano avvicinare a prigioni vicino alle proprie zone di residenza sta nel fatto che ogni volta che si cerchi di costruire un dialogo su questo l'associazione delle vittime del"terrorismo"fa quadrato e non si muove di un passo,e quasi tutta la politica,in modo bipartisan il PP e il Psoe,sono i loro cagnolini al guinzaglio visto che quella lobby o setta che si voglia dire è molto potente in Spagna.
Abbiamo incontrato gente che ha a cuore la situazione dei prigionieri politici baschi,che ci mette la faccia e che lavora con grinta e coraggio,e posso solo immaginarmi minimamente la rabbia che alcuni parenti ed amici possano avere nei confronti dello stato fascista spagnolo,e così come comunque ognuno vive il proprio dolore personalmente,tutti assieme hanno la forza e l'entusiasmo per poter cambiare questa situazione intollerabile in un paese che si definisce"democratico".
Sicuramente ho omesso qualcosa di quello che ho cercato di far conoscere,perché proprio il fatto di condividere e di far sapere a più persone possibili la questione degli Euskal Presos è una delle armi più belle e vincenti che questa associazione possa avere tra le frecce nella propria faretra,e ringrazio tutti loro e tutti i miei amici per farmi aver vissuto una giornata(tra le tante)indimenticabili.
Euskal Preso Eta Iheslariak Etxera,Gora Euskal Herria!

martedì 25 giugno 2013

FASCI CON LA CODA(ROTTA)TRA LE GAMBE A BRIGHTON

Per il secondo anno di fila in concomitanza della festa di San Giorgio degli irriducibili britannici di estrema destra hanno voluto festeggiare e modo loro questo giorno che rappresenta la data dell'orgoglio inglese a Brighton,una tra le città più di sinistra del Regno.
Ed il risultato è stato lo stesso,ovvero un sonora batosta da parte di parecchi antifascisti che da quando i neonazi hanno scelto questa data e questo luogo si ritrovano per dargli un degno e meritato benvenuto a insulti,pugni e calci.
Nonostante l'intento della polizia di far marciare questi stronzi in una zona limitrofa facendoli scendere per poi risalire subito sui pullman,alcuni di questi hanno voluto fare un fai da te dalle conseguenze impietose per loro stessi,venendo facilmente randellati dai compagni antifascisti che hanno avuto l'ennesimo modo di dimostrare la propria supremazia di fronte a questi crani vuoti.
L'articolo è preso da Antifa.org.

L'estrema destra britannica si è presa la sua prima randellata di primavera ·
Di Simon Childs, foto di Henry Langston

Dopo sette mesi di oscurità battuta dal vento, venerdì gli abitanti di Brighton si sono svegliati con quel genere di tempo che non ti fa venire voglia di ammazzarti. Ma se pensavano di poter passare un rilassante fine settimana prendendo il sole in spiaggia si sono sbagliati, perché domenica pomeriggio la loro città è stata invasa da qualche centinaio di teppisti di estrema destra.
Apparentemente, la Marcia per l’Inghilterra è una divertente celebrazione dell’orgoglio inglese che si tiene il giorno di San Giorgio. E mentre alcuni vorrebbero soltanto dipingersi la bandiera inglese sulla faccia, cantare “Jerusalem” e parlare di quanto fosse bravo Churchill, l’evento finisce sempre con l'essere dominato dai membri della English Defence League e da un minestrone di svastiche composto da varie fazioni di estrema destra.
La marcia si tiene da un paio di anni a questa parte, e gli antifascisti della zona hanno preso l’abitudine di presentarvisi per protesta. La festa di non-benvenuto dell’anno scorso è riuscita a umiliare i manifestanti al punto che i Casuals United, un gruppo di hooligan di estrema destra, è tornato per vendicarsi un mese dopo, finendo con l'essere deriso e allontanato dalla città.
Invece di trasferire la parata in una zona più accogliente e razzista, la Marcia per l’Inghilterra ha trasformato Brighton nella sua Stalingrado. Come mi ha detto uno del posto, “Vengono qui soltanto perché è il luogo più gay-friendly e di sinistra dell’Inghilterra.” Non sopportano l’idea di essere stati sconfitti da quelli che considerano un mucchio di omosessuali comunisti—e apparentemente mancano sia di memoria che di perspicacia—quindi continuano a tornare, anno dopo anno.
Quest’anno non ha fatto eccezione, e noi abbiamo deciso di fare un salto sulla costa per vedere dei fascisti ubriachi venire derisi ancora una volta.
Siamo arrivati sul lungomare, dove una fila di furgoni antisommossa aveva creato una barriera impenetrabile tra il luogo in cui si teneva la marcia e quello dove si sarebbe radunata la controprotesta antifascista. Circa 700 poliziotti in assetto antisommossa, reclutati da luoghi lontani come il Galles, si stavano preparando alla più grande operazione messa in atto a Brighton negli ultimi anni.
La tattica della polizia consisteva nel far arrivare i partecipanti alla Marcia per l’Inghilterra in bus e lasciarli marciare, per poi riportarli via in autobus prima che potessero anche solo vedere qualcuno di Brighton. E inizialmente quella tattica sembrava destinata ad avere successo, almeno fino a quando non hanno cominciato ad arrivare fascisti che non erano stati portati con i bus organizzati dalla polizia, aggiungendo un brivido di imprevedibilità alla situazione.
La presenza degli antifascisti era piuttosto importante. Il punto di ritrovo era stato fissato a una rotonda vicino a un acquario dove venivano distribuiti—indovinate un po'—cartelli antifascisti. Ma la presenza della polizia era talmente forte da far pensare che difficilmente le due parti avrebbero potuto anche solo avvicinarsi.
Fortunatamente, di lì a poco 12 idioti della Marcia per l’Inghilterra hanno fatto la loro comparsa, convinti che fare i grossi di fronte a una folla di antifascisti fosse una splendida idea.
Molta gente è accorsa per coprirli di insulti, con soltanto una transenna a separare i manifestanti dal rabbioso mare di antifasci infuriati. Il black bloc che vedete qui ha saltato la barriera per affrontare cinque o sei uomini visibilmente più grossi di lui, ma si è ritrovato presto sopraffatto dai loro piedi e dalle aste delle bandiere.
I fascisti hanno sfruttato tutto quello che hanno imparato in decenni di risse scatenate a caso, sostenuti da quella sicurezza che solo un aperitivo pre-pranzo a base di birre sa infondere. Per qualche secondo, l’uomo incappucciato è sembrato prossimo all'arrendersi.
Ma alcuni suoi amici sono giunti in soccorso, appena in tempo per salvarlo dal più grande momento di imbarazzo della sua vita. Sono volati pugni e i combattenti sono capitombolati in un ammasso confuso di membra che si agitavano—alcune razziste, altre non razziste. È difficile stabilire il livello di xenofobia di un arto se non vedi la testa che c’è attaccata.
Si sono alzati tutti e sono tornati alle rispettive squadre. La squadra Inghilterra si è addossata alla barriera come un gregge di pecore preoccupate che osservano l’allevatore aggirarsi per il campo con la pinza per castrazione tra le mani. Questo “ufficiale di mediazione” della polizia, nel suo lindo gilet azzurro, era tutto ciò che proteggeva il gruppo dalla folla antifascista e le sue bottiglie volanti.
I fascisti erano appena riusciti a sgattaiolare oltre il cordone quando è arrivata la polizia a cavallo, che ha deciso che confiscare lo striscione dei black bloc era un imperativo tattico. Ma non c'è riuscita. Poi c’è stato un momento di confusione, mentre la polizia ha più o meno cercato di radunare tutti per poi rinunciare e fingere che non fosse successo nulla.
Questo solitario agente del reparto medico ha provato a chiedere al membro dei black bloc di togliersi la maschera. La risposta è stata “No". Sono seguiti diversi secondi di imbarazzo.
Un centinaio di metri più in su, in una strada laterale, un gruppo di fascisti si è rifugiato in una sala scommesse Coral dopo essere stato inseguito da degli antifasci armati di bombe-vernice.
Un paio di sbirri sono stati intercettati dai colpi, ma hanno continuato ad avanzare con quell'impressionante e stoica risolutezza che solo un uomo con dell’inchiostro in faccia emana.
Alla rotonda regnava la confusione. La polizia a cavallo inseguiva la gente nella distorta e bizzarra idea che un cavallo in corsa li avrebbe in qualche modo convinti a togliersi le maschere. Ogni contromanifestante che la polizia riusciva a prendere veniva fermato e perquisito.
Come questo tipo, che ha approfittato della sua cattura per stendersi, riflettere e rilassarsi nel mezzo del caos che aveva intorno.
Ma non è stata una cattiva idea, perché poco dopo è arrivato da una strada laterale un altro gruppo di fascisti pronto allo scontro, che ha finito per ritrovarsi circondato da tutte le parti.
Qui vedete come è andata:
La polizia è riuscita a liberare una via di fuga per i fascisti, ma non prima che un paio di lanci andassero a segno. Fate attenzione al tizio con gli occhiali e la felpa bianca. Da quel giorno immagino abbia cambiato idea sulla birra.
Molte delle strade dirette al lungomare (dove si sviluppava il percorso della marcia) erano bloccate da cordoni di polizia, come quello usato da questa fazione dei Blazin' Squad come sfondo per il loro prossimo calendario promozionale.
Quei blocchi non erano un problema per gli antifascisti della zona, che—conoscendo il territorio—si sono fatti strada fino al lungomare usando le vie secondarie.
Quando ci sono arrivati, hanno trovato alcuni fascisti ad aspettarli ed è scoppiata una rissa. Un antifascista che sembrava un po’ scosso mi ha detto, “Non li abbiamo visti. Hanno attaccato me e il mio amico appena siamo arrivati.”
Eppure l’elemento sorpresa non si è dimostrato particolarmente efficace, visto che i fascisti, in minoranza, si sono presi una sonora legnata. Prima che la polizia interrompesse il tutto, l’aria era piena del suono di nocche e stivali che si scontrano con crani neonazi.
Finita la zuffa, siamo finalmente riusciti a dare un’occhiata alla piccola Marcia per l’Inghilterra. Se la razza inglese (qualunque cosa sia) avesse mai bisogno di essere difesa, sono davvero questi i tipi di cui si vorrebbe preservare la stirpe? Ditemelo voi.
Gli abitanti di Brighton si sono allineati lungo il percorso della marcia, urlando cose tipo, “Dalla stazione al mare, Brighton libera dai fasci,” o il semplice ma efficace slogan di “Cazzi piccoli!” Nel frattempo, qualcuno con un sound system enorme sparava inni gay tipo “I will survive”, combattendo il razzismo con aggressiva favolosità.
La marcia in sé è stata la presa in giro più grossa. I patrioti orgogliosi hanno potuto marciare per circa 400 metri sul lungomare, abbastanza da vedere questo striscione antifascista appeso da un tetto vicino. Poi sono stati costretti a tornare in marcia—senza discorsi, senza niente—ai loro autobus, e spediti a casa.
Siamo tornati alla rotonda con un gruppo separatista di fascisti che veniva lentamente costretto ad allontanarsi dalla città. Questo tipo continuava a ripeterci quanto fosse importante il fatto che erano venuti addirittura da Liverpool. Sperava che la sua devozione alla causa ci sorprendesse.
E questo è stato più o meno tutto. Le voci della presunta aggressione di una famiglia musulmana da parte di un delinquente razzista dovrebbero essere sufficienti a garantire che, se dovessero tornare a Brighton l’anno prossimo, i fascisti saranno accolti da una folla altrettanto determinata e desiderosa di gonfiarli di botte.

 http://www.vice.com/it/read/estrema-destra-brighton-san-Giorgio

lunedì 24 giugno 2013

JAVIER GEREZ

La notizia di due settimane fa dell'uccisione del tifoso argentino del Lanus,Javier Gerez detto Zurdo,è stato l'ennesimo caso di vittima ammazzata dalla polizia durante lo svolgimento di una partita di calcio o comunque nelle immediate ore e vicinanza del match e dello stadio.
Proprio come successe nell'aprile dello scorso anno per il giovane tifoso basco Inigo Cabacas (http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/04/morte-di-stato-in-euskal-herria.html )anche questa volta a provocare il decesso di Javier è stata una pallottola di gomma sparata ad altezza uomo dagli sbirri argentini.
Dapprima la stampa aveva informato che la morte del tifoso fosse avvenuta durante scontri tra i supporters delle opposte fazione,poi addirittura all'interno di una rissa tra gli stessi ultras del Lanus prima che la verità sia venuta fuori:la federcalcio argentina sta ora pensando di proibire tutte le trasferte per i prossimi mesi di durata del campionato d'oltreoceano
L'articolo è preso da Infoaut.

Argentina. Tifoso del Lanus ucciso dalla polizia.
 
Un altro tifoso assassinato negli stadi, questa volta succede in Argentina, a La Plata, dove Javier Gerez, tifoso del Lanus, è morto dopo che la polizia ha sparato una pallottola di gomma colpendolo al petto mortalmente e ferendo nella furia altri due tifosi. La partita che si disputava domenica tra il Lanus e Estudiantes, è stata successivamente sospesa, mentre in un primo momento non erano chiare le responsabilità e le dinamiche della morte di Javier, attribuite a scontri tra tifosi delle due squadre in campo. A fare il lavoro sporco sulla faccenda anche i vari media che titolavano in maniera ambigua la notizia, per non chiarire le responsabilità della morte del tifoso.
Ma quella composizione sociale all'interno degli stadi che esprime il malessere diffuso all'interno della società, è un dato di fatto con cui, volenti o nolenti, i vari politicanti di turno dovranno scontrarsi. E lo fanno con il modo più comodo e già comprovato in diversi paesi europei: infatti la Federcalcio argentina ha varato un provvedimento, all'indomani dell'uccisione del tifoso, che vieterà ai tifosi di seguire in trasferta la loro squadra di calcio, applicando il divieto a tutte le categorie dei campionati di calcio del Paese sudamericano.
Le autorità di Buenos Aires avevano già vietato le trasferte nella provincia in reazione ai gravissimi incidenti di La Plata. L'Afa, con il supporto del governo, ha esteso il provvedimento fino all'introduzione di nuove norme per cercare di trovare una soluzione alla violenza all'interno degli stadi, mentre la violenza da parte della polizia che si dimostra incapace di gestire determinate situazioni sembra ancora non trovare una soluzione.

giovedì 13 giugno 2013

LA CAMUSSO E GLI F35

L'ennesimo dibattito per togliere finalmente l'Italia dai pochissimi onori e dai molteplici oneri di una guerra è nato all'indomani della morte di un altro mercenario del"loro"esercito che durante un azione di guerriglia si è fatto ammazzare,un altro nome da aggiungere alla lista di quelli che avranno la famiglia sovvenzionata a vita dai soldi di tutti quelli che pagano le tasse.
Il buon intervento del deputato del M5S Di Battista,si vede che se ragionano con la propria testa e senza la paura di essere epurati qualche grillino si salva,(vedi:http://www.cadoinpiedi.it/2013/06/12/di_battista_in_aula_la_guerra_ci_fa_schifo.html )fa da contrasto al commento della segretaria della Cgil Camusso,che ritiene l'acquisto degli F35 una svolta per l'economia del belpaese,salvo ribaltare il tutto come una frittata poco tempo dopo,alla maniera ornai conosciutissima del maestro Berluscojoni.
L'articolo preso da Today.it(http://www.today.it/politica/f35-camusso-cgil-favorevole-acquisto.html )racchiude commenti,proposte e numeri,per chi non lo avesse ancora capito,che una soluzione limpida e facile per non versare ulteriori contributi,inventarsi qualche nuova tassa e non aumentare l'Iva è togliersi dai coglioni a piè pari dalle guerre in tutto il mondo combattute dai poveri in nome dei potenti che ringraziano ed ingrassano.

F35: "Camusso e Cgil non favorevoli all'acquisto"

La Camusso precisa: "Stop F35, usare quei soldi per l'economia reale".

Mentre la sinistra stava cercando di compattarsi sul fronte del "no" agli aerei da guerra arriva la bordata della leader della Cgil: "F35 e missioni di pace sono importanti per l'economia reale". Poi la precisazione: "Malinteso, la Cgil è per il no".

F35: "Camusso e Cgil non favorevoli all'acquisto"

"Dagli F35 potrebbe arrivare una grossa mano all'economia reale come anche dalle missioni internazionali di pace. Si chieda all'Ue di finanziarle e si utilizzino quelle risorse per le esigenze nazionale di ripresa". Con queste parole pronunciate dal congresso della Cisl e riportate dall'Adnkronos il leader della Cgil, Susanna Camusso, ha rischiato di far saltare quel fronte 'di sinistra' parlamentare che in queste ore sta lavorando a portare il "no" all'acquisto degli aerei da guerra direttamente a Palazzo Chigi.
Solo ieri, infatti, il Pd aveva chiesto alla commissione Difesa della Camera un'indagine e il 24 e 25 giugno l'aula di Montecitorio discuterà una mozione di Sel, M5S ed esponenti Pd contro l'acquisto degli aerei. E sempre ieri un appello contro gli F35 firmato da personalità quali Roberto Saviano, Riccardo Iacona e Gad Lerner ha iniziato a fare il giro del paese.
LA PRECISAZIONE DELLA CGIL - "Alcune agenzie hanno riportato male il pensiero oggi di Susanna Camusso. Qualche altro sito ha fatto di peggio titolando che saremmo per gli F35. La verità è che - non da oggi - siamo nettamente schierati per il “NO AGLI F35” e crediamo che da meno spese militari, da meno inutili aerei di guerra, possa arrivare una grossa mano in favore dell'economia reale e contro la crisi".
Il tutto mentre il ministro della Difesa Mario Mauro ha preso parola in maniera lapidaria sul tema per dire che l'assunto "asili al posto di F35" è "fuorviante e demagogico".
L'ACQUISTO - Come ricorda oggi l'Ansa, il governo italiano vuole acquistare 91 cacciabombardieri Lockheed-Martin F35 'Lightning', al costo complessivo di 13 miliardi di euro, per sostituire 256 aerei da combattimento obsoleti (Tornado, Amx, Harrier). Il Ligthtning è il velivolo multiruolo americano da esportazione, l'equivalente moderno dell'F16 (il vero supercaccia americano, l'F22, non viene esportato per mantenere la supremazia Usa nei cieli). Secondo un recente rapporto del Pentagono, il velivolo avrebbe grossi difetti, ma i suoi sostenitori affermano che sono solo problemi di messa a punto.
IL FRONTE DEL "NO" - "Mentre siamo sicuri che l'Italia ha un disperato bisogno di asili nido - ha detto il capogruppo Pd in commissione, Massimo Scanu - non sappiamo se davvero abbiamo bisogno degli F35". Appuntamento, quindi, al 24 e 25 giugno in aula a Montecitorio quando sarà discussa la mozione presentata da Sel, M5S ed esponenti del Pd (fra i quali Pippo Civati) che chiede di cancellare il programma di acquisto e destinare i 13 miliardi a riassetto idrogeologico, asili nido e messa in sicurezza delle scuole.
Mozione sulla quale ieri è intervenuto anche il Pd Felice Casson: "Il costo degli F35 è esorbitante", tanto che "molti paesi hanno già annullato o tagliato le commesse per risparmiare".


mercoledì 12 giugno 2013

UCCISO DALLA TOLLERANZA ZERO

La notizia della rivolta in Turchia e in particolar modo a Istanbul ha sempre meno rilievo all'interno degli organi d'informazione tradizionali,Internet offre come quasi sempre una più variegata disponibilità di news ed aggiornamenti,come questo articolo preso da Infoaut.
L'assassinio del giovane manifestante turco Ethem Sarısülük colpito in testa da uno sbirro è l'ennesima vittima del pugno duro di Erdogan che ha richiesto la tolleranza zero verso chi scende in piazza per protestare,ed il video agghiacciante preso da You Tube è la prova tangibile di questo delitto.
 

Taksim non cede agli assalti della polizia, la piazza resiste!(aggiornamenti).

Dopo una lunga notte di scontri a piazza Taksim, che durante la giornata ha lasciato un bilancio di centinaia di persone ferite sotto il fitto lancio di lacrimogeni, idranti, pallottole di gomma e granate assordanti, i manifestanti si sono spostati a Gezi Park, altro centro nevralgico della protesta che in questi giorni sta dilagano in Turchia. I pugno duro di Erdogan sul piano politico, che non si rassegna a mollare la presa, continua quindi con la violenta repressione che sta attuando attraverso gli apparati di polizia e non solo. Intanto il Consiglio Supremo della Radio e della Tv, organismo di controllo nominato dall’esecutivo, ha multato tutte le televisioni che hanno trasmesso in diretta le manifestazioni di protesta. Singolari le motivazioni che ha utilizzato il governo turco per giustificare la sua mossa: sembrerebbe infatti, a detta delle autorità, che hanno "danneggiato lo sviluppo fisico, morale e mentale di bambini e giovani”. Per questo pomeriggio il primo ministro Erdogan, prova la carta del dialogo con i manifestanti, e alle 16 si svolgerà un incontro con una delegazione di 11 rappresentanti dei manifestanti turchi. Tra loro artisti, professori universitari e studenti. All'incontro sono stati esclusi coloro che fanno parte di Taksim Platform, uno dei gruppi iniziatori delle proteste. In un clima di tensione, la giornata di oggi sembra apparentemente calma, ma la resistenza nelle strade di Istanbul continua, e mentre Erdogan cerca probabilmente di prendere fiato dalla situazione creatasi a Istanbul e non solo, la resistenza continua ad organizzarsi.
Aggiornamento 11.06.2013 ore 21.00
Dall'attacco della polizia iniziato questa mattina all'alba, Taksim è stata per ore teatro di scontri ininterrotti tra decine di migliaia di manifestanti decisi a difendere la piazza e gli agenti che tentavano di avanzare facendosi strada con gli idranti per sfondare le barricate e con un uso indiscriminato di lacrimogeni e pallottole di gomma.
La brutalità della polizia ha causato nuovamente moltissimi feriti, alcuni gravi perché colpiti al volto dal lancio senza tregua di candelotti sparati ad altezza uomo che in breve hanno reso l'aria soffocante e irrespirabile ma le infermerie di fortuna allestite sul posto e protette dai manifestanti, il continuo affluire di nuove persone verso Taksim e la determinazione hanno costretto gli agenti a conquistare a caro prezzo ogni singolo centimetro della piazza.
Nel tardo pomeriggio il fronteggiamento che durava ormai da ore ha fatto avere la meglio alla parte di piazza Taksim che resisteva: la polizia è stata costretta ad arretrare mentre i manifestanti avanzavano riconquistando la piazza ed erigendo nuove barricate.
Gli scontri sono ripresi poche ore dopo, quando migliaia di persone hanno ricominciato ad affluire verso Taksim per una manifestazione convocata per le 19. La polizia ha di nuovo aggredito la piazza e si è spinta fino a Gezi Park (già bersagliata dai lacrimogeni da questa mattina), smentendo così definitivamente i tentativi di dividere la protesta fatti dal sindaco di Istanbul, il quale aveva affermato di voler sgomberare solo i 'provocatori' di piazza Taksim mentre gli occupanti di Gezi sarebbero stati tutelati. Una divisione rispedita prontamente al mittente da tutti i manifestanti che da giorni condividono assieme questa battaglia. In giornata il sindaco ha confermato di voler proseguire col pugno di ferro contro la rabbia di Taksim ma la protesta non accenna a scemare né a disperdersi.
Durante la giornata gli attacchi della polizia si sono estesi anche al di fuori della zona di Taksim: in mattinata più di 70 avvocati sono stati arrestati mentre protestavano al palazzo di giustizia contro la brutalità delle forze dell'ordine e esprimevano il loro sostegno ai manifestanti e dalla piazza arriva notizia di diversi giornalisti aggrediti mentre tentavano di documentare la situazione. Sempre oggi la polizia ha poi effettuato una retata in una sede del partito socialista democratico turco (Sdp), arrestando diversi militanti dell'organizzazione con la motivazione che uno dei manifestanti che questa mattina ha lanciato una molotov contro i mezzi della polizia si stesse proteggendo con uno scudo che riportava una scritta (fatta a mano) con la sigla del partito.
In questo momento sembra che la polizia abbia accantonato il tentativo di entrare a Gezi park ma a Taksim gli scontri proseguono e si preannuncia una nuova notte di battaglia al grido che da questa mattina riecheggia senza tregua per la piazza: dimissioni!
 
La cronaca della giornata con le corrispondenze da Istanbul (da Radio Onda d'Urto):
Attorno alle sei e mezza  – ora locale – di Istanbul oggi, martedì 11 giugno 2013, centinaia di poliziotti in tenuta anti-sommossa si sono radunati sul viale principale che porta a piazza Taksim, dove si tiene il presidio dei dimostranti contro la distruzione del parco Gezi e contro la politica del premier Erdogan. I poliziotti, con l’appoggio di blindati con cannoni ad acqua, hanno attaccato le barricate intorno alla piazza, facendo un uso massiccio di lacrimogeni. Da GeziRadyo, la radio gestita dagli attivisti di Piazza Taksim, rimbalza la notizia dell’uso di pallottole di gomma da parte della polizia contro i manifestanti. Decine i feriti e gli arrestati.
Ore 17.00: La polizia con l’appoggio di blindati con cannoni ad acqua dopo aver attaccato le barricate intorno a piazza Taksim nel primo pomeriggio ha attaccato anche Gezi park, facendo un uso massiccio di lacrimogeni. Decine i feriti e gli arrestati. Tra questi anche 20 avvocati che difendono i manifestanti, fermati questa mattina nel tribunale Çağlayan, mentre stavano per fare un comunicato di solidarietà agli occupanti del parco Gezi. Continuano duri scontri: lacrimogeni e idranti da un lato, pietre e bottiglie dall’altro. Su tutto, lo slogan ripetuto in continuazione: “Dimissioni”.
Per l’Associazione medici turchi Tbb almeno 100 manifestanti sono stati feriti oggi, 5 dei quali sono gravi. Dall’inizio della protesta antigovernativa, in tutta la Turchia tre manifestanti sono stati uccisi e 5mila feriti.
La piattaforma Solidarity che riunisce tutti quelli che stanno manifestando per il parco Gezi ha convocato una nuova manifestazione a Taksim alle 19 ora di Istanbul, le 18 ora italiana. Intanto il presidente Abdullah Gül ha approvato la legge che prevede la restrizione della vendita e dell’esposizione di alcolici nel paese, uno dei motivi alla base delle proteste degli ultimi giorni a piazza Taksim e nel resto del paese. Ancora Serena da Istanbul.
Ore 10.00: Da Istanbul a Ankara, dove ieri sera quando la polizia ha disperso, nell’undicesimo giorno di proteste antigovernative, migliaia di giovani radunatasi a Tunali Hilmi, nel pieno centro città.  Le violenze di Istanbul e Ankara arrivano dopo l’annuncio, fatto solo ieri dal premier Erdogan, di un incontro domani con i rappresentanti della protesta di Gezi Park. Il premier ha comunque già ribadito la prosecuzione del taglio dei 600 alberi e la costruzione di una caserma e di una moschea. Anche qui, la volontà è quella di dividere: Erdogan incontrerà i rappresentati di #occupygezi, ma non la cosiddetta “Piattaforma Taksim”, che rappresenta la maggior parte dei manifestanti ed in particolare i tanti che, dalla semplice battaglia per un parco, hanno iniziato a contestare tout court la politica governativa.  Erdogan è poi  tornato a mostrare la faccia dura, sostenendo che “d’ora in avanti ci sarà tolleranza zero contro le proteste”. Il leader dell’opposizione socialidemocratica turca Kemal Kilicdaroglu ha reagito accusando il premier Recep Tayyip Erdogan di essere un “dittatore”. I giovani che manifestano nel paese, ha aggiunto in un discorso davanti ai deputati del suo partito Chp, vogliono “una democrazia di prima classe”. Murat Cinar, giornalista della sinistra turca.

L’ordine del governo era quello di confinare la protesta dentro il parco, riducendo la rabbia popolare ad una semplice questione urbanistica – la devastazione del parco – e togliendo ai giovani la centrale piazza Taksim, simbolo della lotta contro il governo conservatore islamico. Uno scippo respinto al mittente dalla piazza, dove continuano duri scontri: lacrimogeni e idranti da un lato, pietre e bottiglie dall’altro. Su tutto, lo slogan ripetuto in continuazione: “Dimissioni”. Ascolta la corrispondenza dalla piazza con Serena di DinamoPress.

 
 
 
 
 
 


martedì 11 giugno 2013

SAVIANO PARACULO DEGLI SBIRRI

Avevo già parlato di Roberto Saviano e del suo populismo facile facile qualche tempo addietro(in questo link:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/02/maestri-della-demagogia.html )e rileggendo il pezzo posso dire di averci visto già bene nel febbraio del 2011.
L'articolo di oggi preso da Infoaut parla di Saviano come prototipo del portavoce di una nuova ondata di intellettuali che inventano e cercano di mettere in testa alla gente i loro pensieri e le loro questioni che altro non sono quelli dell'ambito dei falsi impegnati,di coloro che dietro ad una maschera di serietà e di martirio celano un servilismo verso lo Stato ed i suoi organismi più beceri e infami(la polizia in primis).
Quelli che Gramsci chiamava"pennaioli"e che ora nel gergo giornalistico vengono solitamente chiamati con spregio"giornalai",hanno in Saviano il loro mentore di più successo,personaggio presente costantemente in televisione che usa la lotta contro la camorra e la criminalità organizzata mafiosa come scudo per il suo falso civismo che ripeto altro non è che un paraculo per tutte le forze del disordine e i politici che hanno in mano il potere.
A prova di questo ecco la difesa degli apparati di polizia che partendo da Genova e arrivando a Roma massacrarono centinai di giovani,lo strenuo appoggio ai torturatori degli studenti quanto ci fu la loro rivolta contro la riforma Gelmini e leggendo sotto si può notare chi ringrazia dopo l'ultima sua fatica letteraria(in ordine sparso tralasciando tutte le forze armate italiane ci sono pure i mossos d'esquadra,la guardia civil,le polizie di mezzo mondo,Fbi,Dea,Interpol e Scotland Yard)...Saviano sei uno sbruffone e non pensare nemmeno di paragonarti a Pasolini,che non devi nemmeno pensare il suo nome.

Roberto Saviano, la nuova figura dello scrittore arruolato.

Roberto Saviano, ultima parodia dell’intellettuale impegnato
Per Antonio Gramsci erano le «pagliette», dal noto cappello estivo di forma ovale con fondo piatto venuto alla moda negli ambienti della borghesia maschile d’inizio Novecento e consacrato nei dipinti degli impressionisti francesi. L’autore dei quaderni si riferiva ad un particolare ceto di intellettuali che in una delle sue note scritte in carcere dopo la condanna del tribunale speciale fascista non esitava a catalogare come «pennaioli». Personaggi – scriveva – incorporati nelle classi dirigenti meridionali a cui erano stati concessi particolari favori personali, privilegi “giudiziari” o di natura impiegatizia e burocratica. Figure che avevano messo le loro competenze intellettuali al servizio della politica settentrionale di sfruttamento neocoloniale del Mezzogiorno, riducendosi ad un suo accessorio “poliziesco” la cui funzione era quella di presentare il malumore sociale del Meridione come una questione di mera competenza della «sfera di polizia» giudiziaria.

Dimessa la paglietta e aggiornati gli stili vestimentari al look delle popstar, un secolo dopo quel genere di intellettuale, “funzionario del consenso”, non sembra affatto scomparso anche se la sua riproduzione sociale non è più direttamente legata a forme di sottogoverno ma alle strategie di marketing dell’industria editoriale, ai potentati finanziario-editoriali, ad un nuovo e particolare ruolo svolto all’interno degli apparati repressivo-giudiziari dello Stato.

Una delle figure che più si avvicina oggi a questo genere di intellettuale è senza dubbio quella di Roberto Saviano, considerato da alcuni l’autorevole erede del romanzo d’appendice campano, di cui fu caposcuola Francesco Mastriani, prolifico raccontatore napoletano del basso romanticismo, una specie di Eugène Sue partenopeo.

Il “civismo” di Saviano, infatti, non appartiene alla categoria dell’impegno riassunto nella figura dell’écrivain engagé, ma a quella del volontario che si arruola nella legione militare della scrittura di guerra, che ne fa un author embedded, uno scrittore-soldato che agita l’etica armata, il moralismo in uniforme, l’epica della scorta militare come arma di devastazione di massa dell’intelligenza e della critica. «E’ roba nostra. E’ un patriota, un cazzuto, uno che sa tenere una pistola in pugno, uno che sa sbrigarsela al modo dell’uomo vero», aveva scritto con veemenza Pierangelo Buttafuoco su Libero del 12 maggio 2010. Un’icona perfetta dell’immaginario superomista, della politica come potenza, un vero divulgatore di valori e codici di destra. Buttafuoco non aveva torto, il discorso di Saviano è intriso di postulati d’ordine, ispirato da paradigmi autoritari e purificatori che si coniugano inevitabilmente col verbo legalitario e securitario. Incuriosisce semmai che un autore del genere, legato per giunta alle proprie origini ebraiche, sia tanto irresistibilmente calamitato dal mondo della criminalità organizzata e dalla letteratura antisemita («Come scrittore – spiegò a Panorama il 22 dicembre 2009 – mi sono formato su molti autori riconosciuti della cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schmitt. E non mi sogno di rinnegarlo, anzi. Leggo spesso persino Julius Evola, che mi avrebbe considerato un inferiore»), quasi fosse soggiogato dal fascino oscuro e demoniaco del male, attratto da ciò che egli designa come il suo contrario ma rispetto alla quale lascia trasparire una seduzione inconfessabile.

All’inizio, però, l’avventura di Saviano era nata in un altro modo. L’ambizione che muoveva in origine il giovane autore di Gomorra era quella di seguire le orme dell’impegno, declinato tuttavia in una forma che ne preannunciava da subito l’esito: lo spirito di crociata e gli anatemi moralisti preferiti all’esercizio della critica. Elementi caratteristici di una funzione intellettuale che ricorda la categoria degli imprenditori morali, il prototipo dei creatori di norme descritto dal sociologo Howard S. Becker in Outsiders: «opera con un’etica assoluta: ciò che vede è veramente e totalmente malvagio senza nessuna riserva e qualsiasi mezzo per eliminarlo è giustificato. Il crociato è fervente e virtuoso, e spesso si considera più giusto e virtuoso degli altri».

Saviano escogita una tecnica particolare: mostra di mettere in gioco se stesso, presentando la propria figura pubblica come un discrimine tra bene e male. Da una parte la sua probità morale, il suo coraggio civile, la sua denuncia politica, quella che alcuni arriveranno a definire addirittura «parrhesia» (il coraggio di dire la verità, il parlare franco); dall’altra tutti i suoi nemici, di sempre e di turno. Un mondo diviso tra buoni e cattivi, con un linguaggio accusato di nutrirsi di narcisismo mediatico e manicheismo.

Saviano non esita a raccontarsi ad ogni occasione in questo modo, evocando a più riprese Pasolini, di cui annuncia di voler diventare l’erede, recitando in maniera stucchevole «l’io so» e sentendosi in questo modo il verbo incarnato di una nuova verità.

Appena può si appropria dell’immagine dei giornalisti uccisi o perseguitati. Emblematico è il caso di Anna Politkovskaïa, di cui romanza – come troppo spesso gli accade ­– persino le circostanze della morte. Sale sul palcoscenico della difesa della libertà d’informazione e d’espressione, proprio lui che mostra subito di voler usare la parola come una forma di potere sugli altri. Quella parola che fin dal titolo di un suo libro dice di voler utilizzare come strumento per combattere il crimine organizzato, veicolo di libertà che lui sostiene di difendere contro le molte censure; quella parola che distribuisce su tutti i supporti mediatici, a destra e manca degli schieramenti politici, resta legittima solo se da lui pronunciata. La sua parola, intesa come unica parola possibile e che perciò stesso esclude le altre.

Per rafforzare la sua credibilità introduce un nuovo principio di autorità che impiega come una stampella per sorreggere la propria attività pubblicistica, facendo leva sulla postura cristica e l’interpretazione vittimistica del proprio ruolo che in questo modo può garantire sulla verità morale del suo discorso. C’è chi non esita a definirlo per questo un «martire a pagamento», non trovando alcun riscontro le continue “lagne” contro la censura e il timore di rappresaglie.

Ben conscio dell’adagio “chiagne e fotte”, Saviano si mostra un campione del consociativismo mediale. Trasversale e trasformista si adatta ad ogni supporto purché il contratto sia conseguente: pubblica per Mondadori ed Einaudi, editrici belusconiane, poi per Feltrinelli; scrive sull’Espresso e Repubblica, partecipa a format televisivi che seppure vanno in onda sul terzo canale Rai sono prodotti dalla casa di produzione Endemol, anch’essa berlusconiana. Tutto ciò non gli impedisce di offrirsi al pubblico come il campione dell’indignazione permanente, l’interprete autentico e coerente di questo sentimento. Corre a Zuccotti park quando il successo del minuscolo pamphlet di Stephén Hessel ha trasformato in un vezzo mondano il rappresentarsi in questo modo.

Insomma fin da subito Saviano lascia intravedere una cifra conformista, mettendo in mostra un fiuto da bottegaio furbastro, uno spirito codino, l’esatto contrario dell’intelligenza anticipatrice e della coscienza critica.

Tuttavia la maturazione della nuova funzione intellettuale interpretata da Saviano è stata graduale. Chiamato inizialmente a ricoprire il ruolo di amministratore ufficiale della memoria dell’antimafia, entra in conflitto con alcune associazioni storiche come il Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” e la Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, che operano sul campo dell’antimafia sociale da decenni. Il contrasto sfocerà in una cocente sconfitta giudiziaria dello scrittore-querelante che vede così minata la propria credibilità letteraria e storiografica. Nel corso delle udienze emergerà un falso macroscopico: nei suoi scritti Saviano raccontava di una telefonata, mai avvenuta, con Felicia Impastato, morta nel frattempo e madre di Peppino trucidato dalla mafia, che l’avrebbe esortato a non mollare. In questo modo, come in una sorta di simbolico passaggio del testimone, Saviano si attribuiva l’eredità morale di Giuseppe Impastato.

Un’altra controversia importante oppone Saviano a Marta Herling, storica e nipote di Benedetto Croce, che aveva duramente contestato la ricostruzione del salvataggio del filosofo napoletano subito dopo il terremoto di Casamicciola, fatta dallo scrittore nel corso di una trasmissione televisiva e poi riprodotta in un libro. Saviano è colto in fallo di fronte all’impiego delle fonti, il suo tallone d’Achille da sempre. Per uno che vorrebbe correggere le bozze di Dio, l’errore è grossolano. La vicenda ripropone ancora una volta l’ambiguità originaria del dispositivo narrativo di Saviano, già contestato in Gomorra, ovvero la pretesa di potersi avvalere del diritto di romanzare, di fare fiction preservando al tempo stesso la credibilità e l’autorità del saggio scientifico. Il tema vero però è quello del rapporto col passato. Per Saviano si tratta di amministrarne il monopolio sottraendosi ai criteri di verifica e confutazione esistenti nella comunità storico-scentifica. Esiste un’altra concezione che ritiene l’approccio al passato un processo, una costruzione plurale che risponde a criteri di verifica pubblica. Per usare dei paradigmi semplificatori: da una parte si propone una verità di tipo orwelliano, come fa Saviano; dall’altra una verità sul modello galileiano.

L’autore campano, sottoposto dall’ottobre 2006 a programma di protezione da parte dell’Arma dei carabinieri, è protagonista di un inarrestabile processo di osmosi con gli apparati inquirenti e d’investigazione che lo ha risucchiato in un gorgo senza fine. Il livello di integrazione, sovrapposizione e identificazione, è tale da averlo trasformato in una sorta di divulgatore ufficiale, di testimone in presa diretta delle fonti delle procure antimafia e dei corpi specializzati di polizia che operano contro la criminalità organizzata. Situazione che mette a dura prova l’indipendenza critica dello scrittore, ridotto alle sembianze di un organo scrivente sempre più incapace di separarsi dal corpo di cui ormai è parte.

In questo modo Saviano innova la figura del giornalista embedded, introdotta dal Pentagono nel corso della guerra del Golfo del 2003 per controllare alla fonte l’informazione sul conflitto, diventando lo “scrittore arruolato” numero uno delle forze di polizia, degli apparati investigativi e inquirenti sul fronte interno della criminalità organizzata e dei narcotraffici. Basta andare leggere le due pagine di ringraziamenti (441-442) presenti alla fine della sua ultima fatica, Zero, zero, zero, per capire. Qui l’autore è prodigo di riconoscimenti e gratitudine verso:

«L’Arma dei Carabinieri, la Polizia, la Guardia di Finanza, i Ros, i Gico, lo Sco, la Dia e la Dda di Roma, Napoli, Milano, Reggio Calabria, Catanzaro e tutte quelle che qui ho dimenticato, per avermi permesso di studiare, leggere e in alcuni casi vivere le loro inchieste e operazioni: Alga, Box, Caucedo, Crinime-Infinito, Decollo, Decollo bis, Decollo Ter, Decollo Money, Dinero, Dionisio, Due Torri Connection, Flowers 2, Galloway-Tiburon, Golden Jail, Gree Park, Igres, Magna Charta, Maleta 2006, Meta 2010, Notte Bianca, Overloading, Pollicino, Pret à Porter, Puma 2007, Revolution, Solare, Tamanaco, Tiro grosso, Wite 2007, Wite City.
Ringrazio la Dea, l’Fbi, l’Interpol, la Guardia Civil, i Mossos d’Esquadra, Scotland Yard, la Gerndarmerie Nationale francese, la Polícia Civil brasiliana, alcuni membri della Policía Federal messicana, alcuni membri della Policía Nacional de Colombia, alcuni membri della Policija Russa, che mi hanno accompagnato nelle loro inchieste e operazioni: Cabana, Cornestone, Dark Waters, Delfín Blanco, Leyneda, Limpieza, Millennium, Omni Presence, Padrino, Pier Pressure, Processo 8000, Project Colissée, Project Coronado, Russiagate, Reckoning, Relentles, SharQC 2009, Sword, Xcellerator.
Ringrazio tutti i pm, antimafia e non solo, con cui ho studiato e discusso in questi anni. Senza di loro non avrei potuto scoprire molte cose: Ilda Boccassini, Alessandra Dolci, Antonello Ardituro, Federico Cafiero De Raho, Raffaele Cantone, Baltasar Garzón, Nicola Gratteri, Luis Moreno Ocampo, Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Franco Roberti, Paolo Storari.
Ringrazio i vertici dell’Arma dei Carabinieri, il Comandante Generale Gallitelli, il Capo della Polizia di Stato Antonio Manganelli, e il Comandante Generale Capolupo della Guardia di Finanza. Ringrazio in particolare il Generale dei Carabinieri Gaetano Maruccia, il Comandante dei Ros Mario Parente, il Generale della GdF Giuseppe Bottillo, che hanno seguito la crescita di questo libro.
[...]
Ringrazio nell’Arma dei Carabinieri coloro che gestiscono la mia vita: il colonnello Gabriele Degrandi, il capitano Giuseppe Picozzi, il capitano Alessandro Faustini».
da Insorgenze

lunedì 10 giugno 2013

L'OMBRELLO E IL MANGANELLO

Un passo indietro di qualche giorno per ribadire l'ennesimo schifo verso i tutori dell'ordine che sono solamente dei guardiani dei padroni,servi dei potenti e sciacalli dell'informazione:quello visto a Terni ha del demenziale se non si parlasse di centinaia di posti di lavoro in bilico.
Durante una manifestazione degli operai della Ast di Terni in sciopero,la polizia ha caricato selvaggiamente le persone partecipanti al corteo manganellando a destra e a manca sull'onda dell'esempio turco e ferendo tra gli altri il sindaco Di Girolamo,colpito secondo le forze del disordine da un ombrello"amico",fatto subito scartato visto che ci sono chiare immagini dove si vede la testa dell'uomo sfondata dall'arma sbirresca.
L'articolo preso da Senza Soste racconta dell'episodio e delle varie reazioni di alcuni sindacalisti e di organizzazioni,accomunati dal fatto che evidentemente quest'altro spregevole caso di violenza non vedrà nessun responsabile e nessuna conseguente punizione.

Terni, polizia carica gli operai e ferisce il sindaco. 
Un corteo degli operai Ast, in sciopero per quattro ore contro la vendita della fabbrica da parte dei padroni finlandesi di Outokumpu. Si dirige verso la stazione e la polizia carica a freddo.
 
Alcune centinaia di dipendenti dell'Ast di Terni ha partecipato stamattina allo sciopero di quattro ore, dalle 9 alle 13, di tutti i reparti dell'acciaieria, indetto per oggi dai sindacati dopo l'esito non soddisfacente degli ultimi incontri con la proprietà del sito siderurgico, la multinazionale finlandese Outokumpu.
I manifestanti, partiti dai cancelli dell'Ast, in corteo hanno raggiunto la sede della prefettura. Saracinesche dei negozi abbassate al passaggio del corteo.
Un corteo silenzioso e senza striscioni, ma determinato ad alzare il tono della protesta in merito alla vertenza Ast; semplice il criterio: se non ti fai sentire con forza, nessuno si occupa di prenderti in considerazione.
Gli operai dell’acciaieria hanno raggiunto la stazione ferroviaria ed hanno deciso di bloccare i binari per alcuni minuti, prima di recarsi sotto al palazzo della Prefettura, ultima tappa del corteo. La polizia ha caricato ad occhi chiusi, senza badare a nulla e a nessuno A rimetterci, tra i primi, è stato il sindaco della cittadina umbra, Leo Di Girolamo, colpito alla testa da una manganellata, rimasto ferito.
E' stato poi medicato al pronto soccorso. Il sindaco si è sentito al telefono con il prefetto Vittorio Saladino, che si è detto ''addolorato'' per quanto successo (inevitabilmente ora ci saranno provvedimenti, trasferimenti di personale,etc). Di Girolamo ha infatti parlato di ''violenza incomprensibile'' da parte di poliziotti che, evidentemente, in questi giorni si sono "gasati" con l'esempio turco.

Oltre al sindaco, sono rimaste ferite anche numerose altre persone che si trovavano alla testa del corteo. I testimoni raccontano di un'azione assolutamente fuori controllo da parte dei poliziotti, che non si sono limitati a sbarrare la strada agli operai, ma hanno iniziato a manganellare a più non posso. Poi il corteo ha raggiunto egualmente la Prefettura. Permane ovviamente molta tensione, la polizia controllo a distanza.
Immediata la reazione anche del presidente della Regione Umbria. "Ho appreso in questo momento dall'assessore Vincenzo Riommi quanto accaduto a Terni nel corso della manifestazione dei lavoratori delle Acciaierie che in modo pacifico, come è sempre avvenuto negli ultimi 30 anni in questa città e in tutta l'Umbria, stavano manifestando a difesa del futuro delle acciaierie e del proprio posto di lavoro". E' quanto affermato dalla presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini.
Secondo la presidente dell'Umbria, "appare gravissima l'azione messa in atto dalle forze di polizia che anziché farsi interpreti e comprendere il legittimo diritto a manifestare hanno reagito in maniera violenta, ferendo addirittura lo stesso sindaco della città di Terni Leopoldo di Girolamo cui va in questo momento tutta la mia affettuosa solidarietà, così come agli altri cittadini coinvolti". "Come presidente della Regione - prosegue Marini - chiederò formalmente al ministro degli interni, Angelino Alfano, di approfondire quanto avvenuto facendosi egli si interprete della difficile situazione economica e sociale che vive il paese e anche la nostra regione. I lavoratori e le famiglie giustamente preoccupati del futuro delle proprie aziende e del proprio posto di lavoro non possono essere assolutamente trattati come un problema di ordine pubblico".
Per la presidente Marini "il Governo deve affrontare questi temi sul piano del dialogo e del confronto di fronte a questa grave emergenza economica e sociale".
"Voglio ricordare - afferma ancora la presidente - che le istituzioni territoriali umbre, Regione, Provincia, Comuni da sempre, con senso di responsabilità, hanno svolto una funzione propositiva di dialogo e di comprensione dei fenomeni sociali con una gestione che non ha mai prodotto in questa terra tensioni tali da richiedere l'intervento delle forze dell'ordine. Sorprende pertanto che lo schieramento del reparto mobile della Polizia di Stato di fronte alla stazione di Terni anziché essere un contributo all'ordinato svolgimento della manifestazione dei lavoratori è divenuto elemento di tensione, determinando tafferugli che hanno portato al ferimento dello stesso sindaco della città".
"Ribadisco con forza - aggiunge Marini - tutto il mio disappunto e nelle prossime ore assumerò un'iniziativa formale su quanto accaduto a Terni anche al fine di evitare che le prossime settimane, nelle quali ci troveremo ad affrontare nel merito la vicenda del passaggio proprietario dell'AST di Terni, si possa rischiare di aumentare la tensione sociale che sarebbe in contrasto con la storia decennale della nostra terra dove il diritto a manifestare è sempre avvenuto nel rispetto delle regole e dell'ordine pubblico".
Anche più "radicali" le critiche delle personalità con meno responsabilità istituzionali. «Dimissioni del questore», Il segretarla Fiom Cgil di Terni ha chiesto le dimissioni del prefetto di Terni Luigi Vita per i gravi fatti avvenuti alla stazione.
Galanello, Mariotti e Stufara: «Un atto di violenza inaudito e inaccettabile quello perpetrato oggi a Terni dalle forze di polizia che presidiavano la pacifica manifestazione dei lavoratori della Ast e a cui partecipavano rappresentanti delle istituzioni locali, regionali e nazionali. Un episodio determinato da una pessima gestione della piazza da parte della Questura di Terni, di cui i responsabili dovranno rendere conto». Così i consiglieri Fausto Galanello e Manlio Mariotti (Pd) e Damiano Stufara (Prc-Fds) presenti alla manifestazione insieme ad altri colleghi dell’Assemblea legislativa umbra.
«Si chieda scusa a Terni» «Quello cui abbiamo assistito oggi – aggiungono Mariotti e Galanello – è un evento totalmente estraneo alla tradizione delle lotte e dei confronti sui temi del lavoro della città di Terni, e per questo ancora più incomprensibile. Le forze di polizia che presidiavano lo spazio antistante la stazione non avevano di fronte dei facinorosi e violenti individui, ma lavoratori, sindacalisti, rappresentanti delle istituzioni locali, regionali e nazionali che chiedevano, come atto simbolico, di ‘occupare’ la stazione ferroviaria, per dare maggior risalto alla propria protesta, come peraltro fatto anche in altre occasioni. Una avventata e inetta gestione della piazza da parte della Questura ha provocato degli incidenti che si sarebbero potuti evitare senza problemi, con atti di violenza di cui hanno fatto le spese anche il sindaco di Terni Di Girolamo e diversi manifestanti, a cui va tutta la nostra solidarietà. Occorre ora – concludono – che dopo questi fatti gravissimi i rappresentanti dello Stato chiedano scusa alla città di Terni e ai lavoratori, quale condizione necessaria per avviare una riconciliazione che smorzi le tensioni e consenta di riprendere con serenità, maggior forza e spirito unitario una vertenza difficile che riguarda non solo la città di Terni ma che ha un grande rilievo anche nazionale».
Dura la presa di posizione di Ross@ che denuncia come ormai ad ogni istanza sociale e sindacale l'unica risposta che le autorità sono in grado di mettere in campo sia quella delle manganellate. "Le imprese italiane chiudono, delocalizzano, portano i soldi e il lavoro all'estero e i lavoratori vengono prima lasciati soli e poi bastonati se reagiscono. Quanto successo a Terni in qualche modo è la cifra del governo Letta, altro che ammortizzatori e ricontrattazione con la Troika".
Insomma, è esploso un vero e proprio caso politico, con al centro il comportamento della polizia. Che ha fatto quello che va facendo da un po' di tempo in ogni piazza italiana, trovando persino il plauso dei politici di infimo rango e della stampa nazionale. Stavolta, però, hanno preso di mira un gruppo operaio che non aveva mai dato problemi né espresso una conflittualità esasperata. Anzi... E soprattutto se l'è presa con un sindaco.
Proprio sfortunati, 'sti poliziotti di Terni... Stavolta non possono proprio addebitare la propria follia alla presenza di qualche "black bloc"...
tratto da http://www.contropiano.org
5 giugno 2013

sabato 8 giugno 2013

CLEMENT MERIC

Come promesso un breve ricordo nel nome di Clement Meric,il diciannovenne francese ammazzato da un gruppo di neonazisti a Parigi l'altro giorno,ennesima vittima di un attacco squadrista di queste merde che un po' in tutta Europa si fanno sempre più pericolosE,ovviamente in venti contro uno oppure dietro ad un cordone degli sbirri loro protettori.
In Francia negli ultimi anni s'è avuta un escalation di episodi sempre più violenti e vigliacchi che d'altro canto vengono ribattuti sempre più massicciamente dai movimenti antifascisti che subito si sono compattati attorno alla famiglia e ai compagni della giovane vittima.
L'articolo è preso da Senza Soste e parla pure dei vari tentativi del governo francese di debellare questi gruppi,ma avendo praticamente la figlia del nazi Le Pen in politica all'opposizione dal punto di vista"burocratico"appare un passo difficile:meglio allora attivarsi e sciogliere questi ratti di fogna con l'azione diretta.

Parigi. Giovane militante di sinistra ucciso dai fascisti. 
In Francia un giovane militante di estrema sinistra è da ieri sera in stato di morte cerebrale dopo un'aggressione nel cuore di Parigi da parte di una banda di skinheads neofascisti.
L'aggressione si è verificata mercoledì pomeriggio, intorno alle 18, nei pressi della stazione Saint-Lazare, nel IX arrondissement di Parigi. Clement Meric, 19 anni, è stato aggredito da una squadraccia composta da almeno tre fascisti, che apparterrebbero – secondo le prime ricostruzioni – alla JNR–Gioventù Nazionalista Rivoluzionaria, gruppo neonazista e skinhead francese. Sul luogo dell'aggressione era stato organizzato un mercatino per la vendita di vestiti, frequentato da molte persone, tra i quali anche la vittima che era insieme a tre amici. Quando sono arrivati i tre skinhead, tra cui una donna, sono volate invettive e spintoni. Poi però gli squadristi, ai quali si erano aggiunti dei 'rinforzi', hanno atteso che il ragazzo uscisse da un negozio e a quel punto Meric, secondo i primi risultati dell'inchiesta, è stato aggredito, "violentemente sbattuto al suolo" dal gruppo di estrema destra e "lasciato esanime" a terra. Clément è stato colpito con un tirapugni in pieno volto e ha sbattuto fortemente la testa contro un palo, perdendo subito conoscenza. “E’ stata un’aggressione molto violenta”, ha riferito un testimone. Il ragazzo è stato portato immediatamente in ospedale, ma non ce l’ha fatta e ieri sera i medici hanno dichiarato la sua morte cerebrale.
La presidente del Fronte Nazionale, Marine Le Pen, ha subito affermato l’estraneità del suo movimento di estrema destra rispetto a quelli che ha definito comportamento “inaccettabile e inammissibile”.
Ma i coordinamenti antifascisti di Parigi e il Parti de Gauche guidato dall’ex socialista Jean-Luc Mélenchon hanno chiesto al ministro dell’Interno francese di individuare e arrestare immediatamente gli autori dell’aggressione omicida e hanno ribadito la loro richiesta affinché i gruppi neofascisti che si rendono responsabili di atti di violenza vengano sciolti. Anche l’organizzazione Sos Racisme in un comunicato ha espresso la sua emozione e il suo dolore per la morte del giovane antifascista e ha chiesto l’immediato scioglimento del JNR–Gioventù Nazionalista Rivoluzionaria. Da parte loro gli attivisti del comitato Action Antifasciste Paris-Banlieue hanno ricordato che Meric era arrivato a Parigi da Brest (Bretagna) per studiare Scienze Politiche, era attivo in un sindacato studentesco e nelle organizzazioni antifasciste.
In un comunicato il Parti de Gauche, nel quale Meric militava, parla di ritorno dell'orrore fascista e per questo pomeriggio alle 18.30 ha convocato una manifestazione antifascista a Parigi.
6 giugno 2013

giovedì 6 giugno 2013

LO STATO SI E' ASSOLTO ANCORA

Ieri guardando i telegiornali posso affermare che è stata una giornata tra le più assurde e dure che mi ricordi per via delle notizie che sono state un pugno nello stomaco di quelli che lasciano al tappeto e senza fiato:partendo dagli scontri degli operai a Terni con le merde in divisa passando all'omicidio del giovane antifascista a Parigi(che tratterò il prima possibile),la sentenza sulla morte di Stefano Cucchi è l'emblema di uno Stato assassino che per l'ennesima volta si è assolto.
La cronaca della giornata di ieri tenutasi a Roma in un'aula del tribunale è qui sotto,presa da Senza Soste,ed è un elenco di nomi,cognomi e mansioni volgare per la giustizia italiana,con un ragazzo massacrato di botte che è stato violato ancora dopo quattro anni dalla sua morte.
Il commento della sorella,le parole dei genitori e l'indignazione che questa vergognosa sentenza ha suscitato in molta gente sono un accumulo di una rabbia che si sente dentro e spero che tale violenza si possa indirizzare verso azioni chiare di una giustizia che esuli le aule dei tribunali con fatti di forte impatto.
Vedi anche:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/10/stefano-cucchi.html .

Omicidio Cucchi: sentenza scandalosa. 
E’ arrivata dopo più di sette ore di camera di consiglio la sentenza del processo di primo grado per la morte del giovane romano che non uscì vivo dal ‘repartino’ dell’ospedale Pertini di Roma ad una settimana dal suo arresto nella capitale. Pene irrisorie quelle inflitte ai sei medici che dovevano curare Cucchi quando era ricoverato nel reparto 'protetto' dell'Ospedale Sandro Pertini, tutte sotto i due anni e comunque tutte sospese, per omicidio colposo. Assolti invece i tre agenti di polizia penitenziaria e i tre infermieri. Nello specifico la terza corte d'assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, ha condannato a due anni di reclusione il primario della struttura protetta del Sandro Pertini, Aldo Fierro. Un anno e quattro mesi di reclusione sono stati inflitti ai medici della stessa struttura, Stefania Corbi, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno e Luigi Preite De Marchis. Condanna a 8 mesi di reclusione per il medico Rosita Caponetti. L'accusa per i condannati è di omicidio colposo. Assolti gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli, Domenico Pepe e gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Menichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.
Una sentenza scandalosa che ha scatenato l'immediata rabbia di alcuni dei familiari e degli amici di Stefano Cucchi e di altre vittime di abusi da parte di esponenti delle forze dell'ordine. 'Dov'è la giustizia? Assassini, assassini' è il grido che si è levato dai posti riservati al pubblico immediatamente dopo la lettura della sentenza mentre la sorella della vittima, Ilaria, ha reagito con le lacrime. Ci sono stati anche attimi di tensione quando i poliziotti hanno tentato di bloccare la reazione del pubblico.
Poi le proteste sono proseguite anche all'esterno dell'Aula bunker del carcere di Rebibbia. 'Siete tutti complici'' hanno gridato ai carabinieri che presidiavano l'Aula parenti e amici delle vittime di 'malapolizia'. Tra loro Lucia Uva, la sorella di Giuseppe, morto dopo esser stato fermato dai carabinieri a Varese. ''Oggi non è morto nessuno'' ha detto la donna in lacrime rivolgendosi alle forze dell'ordine.
"Mio fratello é stato tradito dalla giustizia per la seconda volta. Non so dire cosa faremo, ma certamente non ci tiriamo indietro. Questo non ce lo aspettavamo. I medici dovranno ora fare i conti con la loro coscienza. Si tratta di una pena ridicola rispetto a una vita umana. Sapevamo che nessuna sentenza ci avrebbe dato soddisfazione e restituito Stefano ma calpestare mio fratello e la verità così... non me l'aspettavo. Oggi capisco quelle famiglie che non affrontano questi processi perché sono dei massacri" ha detto ai giornalisti ancora in lacrime Ilaria Cucchi.
''Tre anni fa avevo previsto questo momento. Questo é un fallimento dello Stato, perché considerare che Stefano Cucchi é morto per colpa medica é un insulto alla sua memoria e a questa famiglia che ha sopportato tanto. E' un insulto alla stessa giustizia'' ha invece denunciato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi.
Era dalle 10,30 di questa mattina che i giudici si erano ritirati in camera di consiglio per la sentenza del processo di primo grado sulla morte di Stefano Cucchi, deceduto il 21 ottobre del 2009. Una sentenza offensiva e omissiva arrivata a due anni dall'avvio del processo (la prima udienza si svolse infatti il 24 marzo del 2011).
I pubblici ministeri, Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, avevano chiesto due anni di reclusione per i tre agenti della penitenziaria accusati di lesioni personali (Nicola Minichini, Corrado Santantonio, Antonio Domenici) e quattro anni di reclusione ciascuno per i tre infermieri del Pertini che dovevano rispondere di abbandono di persona incapace (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli, Domenico Pepe). Chieste condanne anche per i sei medici del Sandro Pertini: 6 anni e 8 mesi per il primario Aldo Fierro, 6 anni per Stefania Corbi e Flaminia Bruno, 5 anni e 6 mesi per Silvia Di Carlo e Luigi Preite De Marchis, 2 anni per Rosita Caponetti.
Per l'accusa e in particolare per la famiglia Cucchi, Stefano fu picchiato selvaggiamente nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell'udienza di convalida dell’arresto; inoltre caddero nel nulla le sue richieste di farmaci, e in ospedale praticamente fu abbandonato a se stesso, senza cibo e assistenza, fino a causarne la morte. Per questo la famiglia aveva criticato anche le richieste di pena dell'accusa, chiedendo che agli imputati fosse contestato quantomeno l’omicidio preterintenzionale.
Per tutta la mattina è stato assai imponente lo spiegamento di forze di polizia all’interno e all’esterno dell'aula bunker in attesa che arrivasse la sentenza. La corte ha anche fissato un limite massimo alla presenza di pubblico in aula, disponendo che non più di cinquanta persone fossero ammesse alla lettura della sentenza.
Dalle dieci fuori dall’aula bunker hanno manifestato decine di rappresentanti di associazioni, forze politiche e collettivi contro la repressione, esponendo  striscioni che recitavano frasi come "Solidarietà a tutte le vittime della tortura e del carcere" e "Ilaria...siamo tutti con te. Non ti lasciamo sola". Con loro molti amici e parenti di alcune delle vittime di ‘malapolizia’ che rivendicano insieme alla famiglia Cucchi giustizia per i loro cari. Tra le persone arrivate a Roma per stringersi attorno alla famiglia Cucchi c’era Claudia Budroni il cui fratello è stato ucciso il 30 luglio del 2011 sul Raccordo anulare di Roma. A sparargli fu un agente di polizia ora indagato ma, come ricorda Checchino Antonini su popoff.globalist, a due anni dall’omicidio non è ancora stata depositata la perizia balistica. C’era anche Grazia Serra, la nipote di Franco Mastrogiovanni, il maestro ucciso il 4 agosto del 2009 in un letto di contenzione di un ospedale nel salernitano. Ancora Lucia Uva che aspetta ad anni di distanza che venga interrogato l'unico testimone dell'omicidio di suo fratello, morto in ospedale, a Varese il 14 giugno del 2008, dopo una notte di sevizie, così pensano i familiari, in una caserma dei Carabinieri. E poi ancora Domenica Ferrulli, figlia di Michele, morto a causa di un pestaggio della polizia il 30 giugno del 2011. Alcune delle vittime degli uomini in divisa sono sopravvissuti, e sono voluti essere a Rebibbia oggi: come Filippo Narducci di Cesena, che il 9 aprile del 2010 è stato pestato, sequestrato illegalmente dalla polizia, denunciato. Ora che è stato assolto, pretende che ad essere giudicati e puniti siano i tre poliziotti che lo pestarono.
tratto da http://www.contropiano.org 5 giugno 2013
***
Il commento di Ilaria Cucchi su Facebook
Chiedo scusa a nome di Stefano per il danno che la sua permanenza al Pertini e la sua morte hanno procurato al buon nome del dott. De Marchis e della dott.ssa Di Carlo. Chiedo scusa per il disturbo arrecato.
Infondo era un tossicodipendente, e non dimentichiamo che era lì perché aveva commesso un reato.
Cosa valeva la sua vita rispetto alla carriera e l'onorabilità di persone che 'salvano la vita alla gente'?
E mi rendo conto sempre di più che la vita di mio fratello non era considerata tra quelle da salvare.
Stefano non ha più voce per dire che lavorava, che andava in palestra. Che le sue vene non erano massacrate dalla droga, della quale non c'era traccia dopo la sua morte...
E che immaginava un futuro come tutti noi.
Lui non c'è più. Quindi tanto vale che i loro avvocati lo massacrino pure da morto. Se si tratta di salvaguardare coloro che quasi sempre salvano la vita alla gente. Sempre che 'la gente' non sia un detenuto in attesa di giudizio tossicodipendente.
E cosa importa il dolore di un padre e di una madre, che per quella vita avrebbero dato l'anima, pur senza mai farne un santo, nel vederlo calpestato e spogliato di quello che era?
Diciamo che non è stato curato perché come tutti i tossicodipendenti non era collaborativo.
E dimentichiamo il giuramento d'Ippocrate.
Tanto era un tossicodipendente.
Ma si. Mettiamoci una pietra sopra e salviamo il salvabile. Tanto se l'è cercata.
E diffondiamo la sua foto nei centri di recupero. Così tutti sapranno che di droga si muore in quel modo, come ha avuto la brillante idea di affermare uno degli avvocati dei poveri medici.